Ho traslocato su erounabravamamma.it

Vi aspetto!

giovedì 24 luglio 2014

Scambiocasa con sorpresa/2

Era una raganella
L'immagine è di repertorio.
Era una raganella il grazioso animale che l'altro giorno si agitava nella tenda del soggiorno. «Così verde, ma così verde... così verde non ne avevo mai vista una», ha detto il Pupo. Come abbia fatto a finire lì, nessuno lo sa.
A vivere in campagna dicono che dopo qualche tempo ci si abitua. Sarà. Però questa campagna a conti fatti è per me un po' troppo intensa. Il gatto Bubbles (i franzusi suoi proprietari lo pronunziano, ho scoperto, Babbòls) certo se la spassa, perché può mangiare insetti e altri animali ogni santo giorno.
Scherzi Ci vuole uno spirito di patata, dico io, a mettere un finto ragno gigante, in plastica, in agguato a fianco della lavatrice in una casa già piena di ragni. Poiché portano guadagno nessuno di essi, veri o finti che siano, viene perseguitato. Ma occorrono nervi saldi per restare impassibili quando te ne stai tutto tranquillo, nudo e inerme, nella vasca da bagno e uno zampelunghe si muove in modo bizzarro, un po' sghembo, puntando dritto nella tua direzione.
Bambini Ai bambini la vacanza non è dispiaciuta per nulla. Ieri mattina il Pupo ha trillato tutto allegro: «Mamma, papà, venite a vedere! C'è un topo morto in piscina». Vero. Era piccolino, però. Ho saputo che pipistrello in francese si dice «chauve-souris», letteralmente «topo calvo». La persiana della stanza accanto alla mia sta sempre aperta e abbiamo scoperto che lì dietro, raggruppati tra il legno caldo e il muro, ce ne stanno una trentina. Mike Delfino ha usato il bastone lunghissimo che si usa per pulire la piscina per spostare la persiana, ieri al crepuscolo, e mostrare ai bambini come si libravano in aria. Spiccavano il volo uno a uno, veloci, vicini, e ho pensato che tutto sommato non erano così diversi dagli storni.
Sgarrupo Questa l'abbiamo chiamata la casa dello sgarrupo, intanto perché scricchiola tutta. La responsabilità principale è del pater familias, un ingegnere informatico con l'hobby del bricolage. Non so voi ma io diffido di questo tipo di maschio. Avrei dovuto capirlo subito, il giorno che siamo arrivati qui: davanti casa, dove la gente in genere piazza un gazebo e quattro piante, qui c'è una piccola betoniera. Il garage sembra il paradiso di Manny Tuttofare. Ma poiché l'ing. è un hobbista e non un professionista fa le cose un tanto al chilo, per esempio al primo piano - che poi è dove ci sono le stanze - qua e là mancano pezzi di parquet, dunque sembra di vivere nel gioco del Domino. Mike Delfino per malriposta solidarietà di genere si è convinto che presto il suddetto hobbista completerà l'opera. Io che sono femmina dico, non per i prossimi vent'anni.
Sgarrupo/2 L'ingegnere è un fanatico del legno. Trova un pezzo di legno e lo trasforma in arredo. Di un bancale da carico/scarico - però scartavetrato e con tre mani di flatting - ha fatto un tavolino da caffè. Di un truciolare di risulta, un portalampada. Di un gruppo di rami intrecciati una scultura che vorrebbe essere appendiabiti ma più che un cappello non tiene, inoltre rischia di cavarti un occhio ogni volta che entri in camera da letto e non hai l'accortezza di balzare, appena oltre la soglia, mezzo metro a sinistra.
Sgarrupo/3 Potrei andare avanti per ore. La padrona di casa è fanatica del Giappone e ha appeso polverosi kimono ovunque. Ha dipinto tronchi e rami secchi di rosso e li ha piantati qua e là in giardino. I mobili della sua cucina non hanno il fondo: le cose poggiano direttamente a terra. Non ci sono nemmeno i pensili, dunque per prendere l'olio e l'aceto devi fare due flessioni ogni volta. Però la casa è piena di Elle Décoration cui lei dice di ispirarsi di continuo per piazzare qua e là certe bottiglie opache, colorate, piene di sabbia grigia e vecchie biglie.
Franzusi Una volta che hai modificato (abbassato) i tuoi standard e ti adatti a pensare che quella in cui vivi sia l'equivalente di una casa scout, tutto sommato non è così male. La mia amica che vive a Marsiglia da anni e che in questi giorni è venuta a trovarmi ha sentenziato: «È la finta eleganza tipica della classe media francese. Entri e ti sembra carino, poi guardi meglio e tutto cade a pezzi». Per esempio per lavare tutto - piatti, cucina, tavolo, piastrelle, volendo anche pavimenti - c'è un'unica spugna gialloverde. Non esiste aspirapolvere ma solo uno scopino portatile e un iRoomba, quel robot idiota che rotea ubriaco per ore sbattendo qua e là, ma nonostante le ferite che si autoinfligge di continuo non riesce, com'è ovvio, a pulire né angoli né scale. Per contro, c'è un giga proiettore con impianto stereo e subwoofer, e ci siamo sparati l'intera saga di Harry Potter quasi come al cinema, a 180 decibel.
Franzusi/2 I franzusi fanno molti figli. Noi in giro con tre sembravamo dei dilettanti. La famiglia media si bulla su monovolumi a sette posti da cui escono nani in scala, ordinati e composti. L'altro giorno a un tavolo c'erano due genitori, a occhio trentacinquenni, con quattro maschi dai 15 ai 5 anni. Il padre sembrava Matt Damon investito da un tir, la madre fumava nervosa, ma facevano di tutto per salvare le apparenze. I bambini erano fermi come delle sfingi. A un certo punto il più piccolo ha tentato di muovere un arto e il padre e la madre sono saltati su all'unisono: «Calme-toi, calme-toi», calmati, gli dicevano. Ho pensato che forse potevo provare a lasciargli il Pupo per mezza giornata, e vedere come me lo restituivano.
Bilanci Tuttavia la vacanza coi Pupi è sempre uno spasso. Sia all'andata che al ritorno avevamo previsto di far tappa a Nizza, dove vive la sorella di Mike D., e non vedo l'ora che sia domattina per lasciare questo posto alla volta della Costa Azzurra, e fare un bagno in quel mare dal colore irreale. La Piccolissima, ufficialmente chiamata «The Small» dai suoi fratelli, è cresciuta bene, e molto: in un laboratorio alla Cité de l'Espace di Tolosa l'abbiamo pesata e abbiamo scoperto che qui sulla Terra pesa più di 9 chili (mentre sulla Luna solo uno). L'abbiamo anche messa davanti a un simulatore di vento a 75 chilometri orari, lei ha sbattuto forte le ciglia ma non ha detto «beh». La cosa bella della Piccolissima è anche questa: puoi metterla di fronte alla Monna Lisa, al Louvre, come a fissare una parete del gabinetto, e per lei non fa alcuna differenza. Non pensate sia una bella metafora?

giovedì 17 luglio 2014

Scambiocasa con sorpresa

Pipistrelli (e altri animali)
Per qualche motivo non del tutto comprensibile, ma certo spinti anche dalla stanchezza e dagli ormoni post-parto, qualche mese fa abbiamo concordato il nostro consueto scambiocasa estivo con una famiglia francese che vive in un'oscura località del Midi-Pirenei. Già dal nome avremmo dovuto capire che non è montagna (non ancora), non è mare, è insomma una mezza campagna incerta e polverosa la cui principale attrattiva sono le zanzare.
And it was not your fault, but mine La località, nel caso voleste spinti da umana curiosità anche solo sbirciare su Google Maps, porta l'accattivante nome di Escorneboeuf, letteralmente "scorna-buoi". Attorno non c'è nulla. Ma nulla davvero. Solo una chiesa romanica sempre chiusa la cui campana però, mistero della fede, non manca di svegliarci ogni mattina alle 7; un microscopico bosco di cedri; e un immenso campo di grano a tre metri da casa. Ma tre metri veri, eh? Tra noi e lui c'è giusto un piccolo fosso pieno di insetti e di una cosa che sembra compost ma che non oso guardare da vicino.
I really fucked it up this time La famiglia francese che nel frattempo a Milano occupa casa nostra, che sapeva bene dove abitava ma ovviamente non ci ha avvertito, ci sbeffeggia mandandoci email tipo «Siamo stati a vedere la mostra di Salgado» oppure «ma che bello, il nuovo allestimento del Design museum» o ancora «Meraviglioso, il sushi all-you-can-eat che ci hai consigliato», mentre noi qui mangiamo lenticchie e investiamo i nostri risparmi in palette scacciamosche. A proposito, non avevo mai visto le zanzare muoversi in piccole nubi compatte. Voi sì?
Come as you are Al Pupo per fortuna certe cose vengono naturali. Mentre mangiamo attorniati da mosche che si posano di continuo sui piatti e sul cibo - è la campagna, bellezza - lui le schiaffeggia a mani nude per tenerle lontane. Alcune però le grazia, secondo insondabili criteri suoi personalissimi: «Questa è mia amica», «Questa ho capito che fa la brava». Dà una caccia spietata anche a vespe e formiche rosse, ma vuole bene a tutti gli altri insetti: dal bombo allo scarrafone alla forbice alla coccinella al ragno che porta guadagno, tutto lo interessa, nulla lo schifa.
You see a lot up there but don't be scared Il problema di come occupare il tempo considerato che nei dintorni c'è poco o nulla da vedere è un problema, diciamo, secondario. Siamo anzitutto impegnati a tenere la campagna fuori da casa. Topi non ne abbiamo ancora visti ma l'altra sera stavo leggendo seduta in soggiorno in un raro momento di quiete e ho sentito due «plop», «plop» come due polpette di sabbia umida scagliate contro il muro. Poi ho alzato brevemente lo sguardo e ho chiamato Mike Delfino pregandolo di venire a vedere. «Fai che non siano quello che penso», ho sospirato rassegnata, indicando due grumi scuri e pelosi appollaiati contro uno degli alberi-scultura di cui questa casa è piena.
Who needs action when you got words «Madre santa, non avevo mai visto un pipistrello tanto da vicino». «E adesso che si fa?». «Non sono esperto di pipistrelli». «Aspetta che li googlo. Dice di prenderli delicatamente con i guanti». «Non se ne parla». «Non ti credevo così pavido». «Allora fallo tu». «Sei matto? Potrei vomitare». «Aspetta, ho un'idea, porto in giardino tutto l'albero-scultura con le due bestie sopra».
Nel trasferimento, uno dei due animaletti ha spiccato il volo, è andato a sbattere contro un vetro e poi si è infilato sotto un pianoforte. Siamo andati a letto rassegnati e un po' preoccupati. Per tutta la notte mi è sembrato di sentire dei sommessi «plop», «plop», come di una polpetta di sabbia umida che cercasse invano di uscire di casa. La mattina dopo abbiamo trovato il grazioso animaletto, invero un po' stordito, appollaiato sul cavo di una delle lampade da terra del soggiorno.
Jesus don't want me for a sunbeam Contavamo molto sul Pupo, ma lui ci ha liquidato con un «Siete matti», e così, senza troppe speranze, abbiamo tirato fuori la nostra carta di riserva. «Pupa, hai visto che bello scoiattolino?». «Ma mamma, perché è nero e ha le ali e la faccia da topo?». «Sono francesi. Sono fatti così». «È un pipisssstrello!» ha sibilato il Pupo, fervente naturalista, tradendoci all'istante. «Se lo prendi con delicatezza e lo porti fuori ti dò dieci euro», ho offerto alla mia angelica bambina. Lei ha mormorato «Non c'è bisogno», è andata in camera e con semplicità è tornata tenendo in mano una maglietta, ha avvolto con tocco lieve il pipistrello e l'ha portato in giardino, sotto una pianta. Cinque minuti dopo è tornata a controllarlo. «Non c'è più! È volato via! Allora sta bene!» ha trillato contenta. Poi ha guardato la sua maglietta e ha scosso il capo con un sorrisetto. «Che c'è, mia eroina?» le ha chiesto Mike Delfino, ammirato. «È tutta pelosina. Non la voglio più lavare».
And the work, it was fun Adesso vorrei raccontarvi qualcosa sull'arredamento di questa casa e sulle condizioni di pulizia in generale, ma vedo che la tenda in fondo al soggiorno ondeggia. Forse non sono abbastanza forte per vivere in campagna. Chi di voi ci abita, come diavolo fa? Mi faccio coraggio e vado a dare un'occhiata. Voi intanto andate a riascoltarvi questa, che secondo me non sentite da un po'. Quanto alle altre canzoni citate, vi lascio il piacere di andarvele a scoprire mentre io capisco che razza di bestiola è entrata qui dentro stavolta.

venerdì 4 luglio 2014

Errori da non fare (con bambini)

È quattro giorni che ti amo
Credo di essere arrivata al capolinea. Un paio d'ore fa mi sono addormentata con la bavetta all'angolo della bocca come non mi succedeva da mesi, allattando la Piccolissima nel suggestivo borgo ligure già teatro, all'inizio di maggio, dell'incidente idiota a causa del quale mi sono rotta un polso. Da due giorni mi sono trasferita qui, armi e bagagli, assieme ai bambini e ai miei genitori, che litigano abbastanza e spesso si comportano come bambini. Dunque totalino bambini = cinque.
I follower di questo blog sono ormai da giorni fermi a 799. Cosa ci vorrà all'800esimo a prendere il coraggio di fare quel «clic» lo sa solo il Signore.
Il tempo, qui, è immoto come il numero dei follower del blog. Il borgo è torpido fuorché nelle ore notturne. È dopo il tramonto che i giovani abitanti del luogo, come i vampiri, si animano e si intrattengono in gioviali passatempo tipo suonare i campanelli di tutte le case alle 23.40. È successo l'altroieri, ché eravamo appena arrivati dopo un viaggio complesso e io desideravo solo dormiredormiredormire.
Però stai bene dove stai Va detto che i miei genitori hanno due auto. Mia madre fino a pochi anni fa non aveva il bancomat ma alla sua macchina personale guai, non avrebbe mai rinunciato. In più sono litigarelli (l'ho già detto?) e condividere uno spazio intimo come quello dell'abitacolo per loro è una sfida inaffrontabile. Dunque due auto. Mio padre però doveva già trasportare i gatti e mia madre ha una guida diciamo creativa, perciò caricarle a bordo i Pupi e affrontare con lei la Cisa impestata di tir e gallerie implica un atto di fede che non mi sono sentita di fare. Ho così deciso di profittare della sugosa offerta estiva di Trenitalia «i bimbi viaggiano gratis» e con soli 26 euro io e la progenie l'altroieri abbiamo percorso la Milano-La Spezia in comode 3 ore e 40 (compreso ritardo di 35 minuti, intrinseco alla tratta). I Pupi si sono comportati bene da Milano a Voghera, due fermate in cui abbiamo condiviso il vagone con una mamma furlana e le sue rustiche figliolette. Da Voghera a Sestri Levante ci hanno fatto compagnia due severissimi inglesi mangia-minori, che hanno passato il tempo a leggere riviste coltissime e a scambiarsi commenti sgradevoli sui miei figli. Ero troppo stanca per litigare e così mi sono limitata, per punirli, a lasciare che i bambini compissero gesti snervanti e orribili tipo fare slittare in su e in giù il poggiatesta di continuo (Pupo) ed essere meosa e piagnucolare (Pupa, che aveva anche la febbre). La Piccolissima alternava i classici versi da neonata a risate gutturali che ha di recente messo a punto e che trova accattivanti, e non ha avuto bisogno di presentazioni.
Da Sestri Levante a Spezia - praticamente l'ultima mezz'ora - siamo rimasti da soli e ci siamo infine decompressi. Il Pupo ha passato il tempo a far puzzette nello scompartimento chiuso, ma almeno eravamo rilassati.
Uomo che cammina sui pezzi di vetro Sempre il Pupo sostiene ormai da un anno che circoli a piede libero un misterioso sconosciuto che per fargli dispetto ha infilato un pezzo di vetro sul pungiglione di un'ape, e che ha poi costretto l'ape a pungerlo in un occhio, col che lui ora sarebbe orbo. Non so per quale motivo si sia inventato questa storia ma devo ammettere che è piuttosto suggestiva. Un po' meno suggestivo è stato, al termine di una frenetica giornata di commissioni, portare il giorno prima della partenza tutti e tre i bambini dalla dottoressa ZiaBubu. Da sola. Questo lo devo veramente mettere nella lista degli errori da non fare con i bambini. Lo studio della dottoressa in due minuti è diventato l'Arena das Dunas al momento dell'incontro-scontro Suarez-Chiellini, con il Pupo che diceva «L'ho morsa per sbaglio, sono caduto su di lei» a proposito della sorella maggiore.
Niente a che vedere col circo La dottoressa ha misurato, tastato e intervistato a lungo i bambini, facendo molte domande ai due grandi, che è uno dei motivi per cui mi piace andare da lei. Tra le informazioni che ho trattenuto:
- il Pupo è il più alto della classe e in senso più ampio ha sfondato ogni possibile tabella di percentili. Pesa come sua sorella, aka la Pupa
- la Pupa è la più bassa della classe ma sta bene anche se in formato mignon
- la Piccolissima è, in proporzione, la più grassa dei tre
- la Piccolissima non sa fare la cacca nel pannolino ma prima o poi imparerà. Per ora va benissimo metterla sul water al mattino e farla evacuare lì sfruttando la forza di quel che la dottoressa ha definito «torchio addominale»
- la Pupa è una bambina gentile. Il Pupo invece ha molti margini di miglioramento
- I bambini ogni tanto vanno portati dall'oculista e dal dentista ma non mi ricordo con che cadenza
- Gli amici del Pupo si chiamano Matthews, Jon Howard, Brandon, Shahira, Vandana e Ada. Con quest'ultima, l'unica italiana, il Pupo si è prima sposato, poi separato, poi rifidanzato. L'ha infine fecondata mettendo al mondo un certo numero di figli. Il primogenito si chiama Alberto e ha 40 anni. In generale i figli del Pupo «vivono con la madre» e «dormono». Lui non li vede quasi mai, né provvede economicamente al loro sostentamento.
Come ombrello teso tra la terra e il cielo Sono tornata a casa un po' confusa. Alle 21.33, poco prima di crollare addormentata, ho mandato un sms alla dottoressa ZiaBubu scrivendole che ero esausta e mi scusavo, ma purtroppo avevo capito solo il 30 per cento di tutto quel che mi aveva detto nel corso della visita. Lei mi ha risposto: «A quest'ora dovresti essere già a nanna. I tuoi figli sono vispi, sani e simpatici. Il loro habitat naturale è la giungla, il che è positivo. Ti basti sapere questo».

Soundtrack: Pezzi di vetro



martedì 24 giugno 2014

Mi sembra di avere cento fratelli

Mo' basta veramente, però
Martedì scorso, con parto da manuale e dieci giorni d'anticipo, la neomamma L. ha messo al mondo il nuovo fratellino della Pupa. A noi che da sei mesi abbiamo in casa la Piccolissima, la quale nel frattempo ha acquisito il peso specifico e la consistenza di un tondino di ferro, il bebé sembra lieve e microscopico. «Vorrà dire che ti chiameremo il Microscopico», ha detto con semplicità mia figlia. Conoscenti in transito nell'una e nell'altra casa continuano a rassicurarla e a complimentarsi: «Auguroni!». «Che fortuna che hai». «Un fratello è sempre una risorsa». «Pensa poveretti i figli unici, quanto si annoiano». «Beata te, avrei voluti averli io, due fratelli e una sorella». «Tutti i piccolini di casa ti adoreranno, vorranno fare quello che vuoi tu, vorranno somigliarti in tutto».
Convivere a volte è peggio di uccidere Mentre il geniale parroco di Cameri nelle ultime ore ha paragonato «le unioni non benedette da un matrimonio in chiesa» a «un omicidio, con la differenza che quest'ultimo è un peccato occasionale, mentre la convivenza un'infedeltà continuativa», nella nostra Bovisa operaia il Don di riferimento, alla notizia di una nuova nascita nella nostra famiglia allargata, vacilla ma non crolla. «Ci sono altri bambini in arrivo o per adesso ci fermiamo qui?» ci ha chiesto ieri con lo sguardo incerto, quando siamo andati a riprendere la Pupa all'oratorio estivo. «Spero di no. Guarda, già così mi sembra di avere cento fratelli», gli ha risposto lei citando il dottor Seuss. Poi se n'è andata trotterellando, in un'imitazione quasi perfetta di Maccio Capatonda (se non lo conoscete prendetevi 62 secondi per guardarlo). «Mo' basta veramente, però», ripeteva. «Mo' basta, mamma. Mo' basta, papà. Mo' basta, tutti. Grazie».

lunedì 16 giugno 2014

Famiglie allargate

Io, che sono come il filo
«Noi siamo una famiglia allargata e tra dieci giorni avrò un fratellino. Però non dalla mia mamma, ma dalla sposa del papà di mia sorella», racconta fiero con la sua esse il Pupo, 5 anni, a chiunque incontri.
All around me are familiar faces «Tu mi hai fatto nascere perché vi tenessi tutti vicini», riflette ad alta voce la Pupa, 9 anni, mentre giocherella, in apparenza distratta, con un braccialetto di bigiotteria. «Io sono come il filo. Voi siete le perline, vi tengo assieme. Perciò non devo rompermi, o scivolerete via».

Soundtrack: Mad World

giovedì 5 giugno 2014

Alla vigilia di un viaggio (con bambini)

Mai indossare calze di collant subito prima di un viaggio
Ore 21.02 «Mamma, ti sei fatta male o ti sei solo spaventata?» mi ha chiesto l'altra sera il Pupo, osservandomi accasciata, immobile ai piedi dei due gradini che, in casa nostra, separano la cosidetta «stanza segreta» (un ripostiglio che contiene soprattutto giochi, nda) dalla zona soppalco.
In effetti ci ho messo qualche istante a rispondere, stringendo i denti e piangendo in silenzio mentre davo a me stessa dell'idiota.
Rewind. Ore 21.01 Stavo per l'appunto uscendo dalla stanza segreta, quando, avendo ai piedi due sottili calzini di collant, sono scivolata e caduta, andando a sbattere sul parquet prima con entrambe le ginocchia - sulle quali ora si stagliano ben visibili i due lividi di riferimento - e immediatamente dopo, per par condicio, con entrambi i polsi, nell'istintivo quanto inutile gesto che il 98% della popolazione mondiale compie per proteggersi il volto e la testa in caso di capitomboli. «Idiota idiota idiota», mi sono ripetuta 15/16.000 volte.
Perciò ho esitato Soffermandomi qualche istante a valutare i danni prima di rispondere al Pupo. Per fortuna ho presto capito di non essermi fatta (quasi) niente. Del resto è solo da una settimana che sono senza gesso: sarebbe stato paradossale rompermi subito un altro osso. Qualcuno nei commenti a questo blog mi aveva parlato del senso di liberazione che si prova quando, dopo aver perso per un mese l'uso di un arto (nel mio caso, il braccio destro) all'improvviso lo si riacquista. In effetti, a me la liberazione l'hanno fatta proprio sudare.
Una mattina di fine maggio, all'ospedale Galeazzi Mi sono presentata garrula e speranzosa all'accettazione, con 55 minuti d'anticipo rispetto al mio appuntamento.
(Io, 54 minuti dopo, al banco informazioni) «Mi scusi, secondo quanto c'è scritto qua tra un minuto sarei attesa in sala raggi. Ma pur essendo arrivata presto, allo sportello ho ancora ventordici persone davanti, è mai possibile? Come faccio adesso?»
(Addetta) «Abbia pazienza, è che l'età media dei pazienti è un po' alta, gli anziani fanno fatica in sede di accettazione. Non si preoccupi, non la rimandano a casa con il gesso».
(27 minuti dopo, finalmente all'accettazione, dopo aver pagato il ticket) «Benissimo cara, ora attenda che chiamino il suo numero. Quando sentirà il suo numero vada in fondo a questo corridoio a destra, al presidio infermieri, e mostri queste carte. Sapranno indirizzarla».
How soon is now? 14 minuti dopo, con 45 minuti di ritardo rispetto al mio appuntamento, mi sono consegnata spontaneamente al presidio infermieri.
(Infermiera brusca) «Abbiamo chiamato il suo numero?»
«Sì».
«È sicura?»
(Senza esitazione) «Sì».
«Uhm... strano, qui non risulta. Vabbe' vabbe' dia qua. Ok, mi faccia vedere... Bene, deve andare al primo piano e chiedere della dottoressa R».
«È lei che mi farà la lastra?»
«No. La dottoressa R deve solo firmare e timbrare questo foglio. Poi con il foglio lei andrà al piano -1, in sala raggi».
«Ah».
Officina ortopedica Di fronte agli occhi del visitatore, al primo piano, si staglia la scritta della speranza: «Officina ortopedica». Vien da pensare che qui si crei, si ripari, si rimonti con grazia ciò che è stato smontato. Però in corridoio, di fronte allo studio della dottoressa Romanò, ci sono sei sette persone in attesa. «Scusate, voi state aspettando...». La risposta è un coro all'unisono: «La dottoressa R. Però sta  v i s i t a n d o».
«Potrei secondo voi velocemente intrufolarmi, farle firmare codesto foglio e nello spazio di 30 secondi togliere il disturbo?»
È come se gli occhi dei pazienti in attesa fossero campioni di nuoto sincronizzato. S'alzano al cielo perfettamente coordinati, poi uno bofonchia: «Mmmm ooocchei, se proprio deve».
Le sudate carte Qualche minuto dopo vittoriosa fuggo verso il piano -1. Prendo l'ascensore sbagliato, finisco davanti alla sala operatoria, fingo indifferenza, salto sull'ascensore giusto, ed eccomi finalmente in sala raggi.
(Infermiere brusco): «Qui manca un foglio».
«Quale foglio?»
«La fotocopia di quest'altro».
«Eh».
«Senza la fotocopia non può fare i raggi. Dovevano fargliela in accettazione».
«Sì, ma non me l'hanno fatta».
«Adesso è un problema».
(Io, paziente) «Vuole che torni su? Magari rifaccio la coda, poi tra un 75/90 minuti ci vediamo qui con la fotocopia».
(Voltandosi verso una fotocopiatrice già accesa): «Ooocchei, gliela faccio io». 
Sicura di non essere incinta? 30 minuti dopo, in sala raggi. La radiologa è un tipo ansioso e mi chiede quattro/sei volte se sono sicura di non essere in gravidanza. Le dico che sto allattando una neonata e lei mi snocciola le decine di casi di sue conoscenti rimaste incinte dopo una settimana dal parto. Le dico un po' secca che, a parte questo, non deve preoccuparsi: non c'è nessuna possibilità che io sia incinta. «Ooocchei, la mia era solo una domanda». Fortunatamente la lastra va bene. «E adesso cosa faccio?»
«Torni al primo piano, dalla dottoressa R. È lei che toglie i gessi».
Un po' penso a uno scherzo, un po' mi viene da piangere. L'ascensore non funziona. Salgo a piedi, lentamente: piano terra, primo piano. Per fortuna davanti a me, all'officina ortopedica, non c'è più nessuno. I pazienti in attesa si sono come dissolti. Mi cade l'occhio su una finestra che qualcuno ha lasciata aperta e penso che si siano tutti buttati di sotto, per l'esasperazione.
I bet you look good on a dance floor Busso, ma nessuno risponde. Riprovo a bussare, poi entro. La dottoressa R è al telefono: sta parlando con qualcuno dell'organizzazione di una festa. È seccata perché un amico comune porta sempre vino scadente. Ormai ho perso ogni ritegno, le agito il gesso davanti al naso per farmi notare. L'assalto olfattivo funziona: dopo meno di un minuto chiude la telefonata. Per scalpellarmi via il gesso chiama uno specializzando, che si gode il delicato bouquet floreale emanato dal mio braccio dopo un mese di costrizione ma mi usa la gentilezza di fingere indifferenza. Una volta libera corro in bagno. Stranamente il dispenser non è rotto e contiene anche il sapone, così mi prendo il lusso di passare 10 minuti d'orologio a strofinarmi e sciacquarmi.
Esco dall'ospedale con due ore di ritardo, la Piccolissima a casa avrà certamente fame, il braccio è debole e lo sento strano: però sono di buonumore, pazienza, tutto passerà. Nelle ore immediatamente successive stringo mani, tocco persone e batto cinque come neanche Matteo Renzi in visita nelle scuole, carezzo bambini, firmo documenti, mi lavo i denti, scolo la pasta, taglio la carne, mi faccio pure giocosamente mordere la mano da Laccio («il cane che ti rompe un braccio» ©).
Good vibrations Pensieri sparsi nelle notti che seguono:
1. È proprio vero. Quando vieni privato di qualcosa, la gioia che provi nel tornarne in possesso è indescrivibile.
2. È proprio vero. I meccanismi secondo i quali funziona, in Italia, la sanità sono spesso farraginosi, inutilmente faticosi (avete aneddoti in merito? Se sì, mi divertirebbe molto leggerli).
3. È proprio vero: alla vigilia di un viaggio bisognerebbe più che mai stare attenti a non finire in pericolo. Domattina se il cielo ci assiste partiamo per una settimana di mare. Non devo non devo non devo indossare più i collant, non devo scivolare. Non devo rompermi un altro polso.
4. (ultimo) È proprio vero: mi riduco sempre all'ultimo momento. Ore 15.56: devo fare le valigie, un poco di spesa, partecipare a una festa di bambini, portare a scuola i regali per le maestre, istruire il vicepadre di Laccio,  un amico che starà a casa nostra con lui durante la nostra settimana di vacanza, sul da farsi.
Voi ci riuscite, a organizzarvi in anticipo? Se sì: come? Quali sono i segreti? Io non ne sono mai stata capace. E così, in queste ore, un'ansia sottile mi pervade. Però senza gesso la vita mi sorride. Ho due braccia. La lavanda nel mio patio è sfacciatamente in fiore. Ooocchei, lo dico: sono felice.

Soundtrack: Rewind
How soon is now?
I bet you look good on a dance floor
Good vibrations




mercoledì 28 maggio 2014

Buon compleanno, Pupa

Epic fail
Tutto abbastanza tranquillo qui nel Bovisashire. Oggi la Pupa compie 9 anni e non passa giorno senza che io ringrazi il cielo per averla avuta. Il suo ingresso nel decimo anno di vita avviene peraltro nel segno di una certa instabilità, in coincidenza perfetta con l'arrivo imminente del suo terzo fratello. L'altro giorno tornando da scuola siamo passate davanti alla chiesa del nostro quartiere e abbiamo incontrato per caso il sacerdote: under 40, gentile, kid-friendly. «Buongiorno, don G», l'ho salutato. «Nel vederla approfitto per chiederle se conosce le date dei battesimi di settembre. Volevo organizzare quello della Piccolissima adesso, a maggio, ma poi mi è occorso questo incidente», ho detto indicandomi il polso gessato.
La pazienza non cresce in una notte «Deve avere un po' di pazienza», ha risposto don G. «Come saprà stiamo per nominare il nuovo parroco, tante cose stanno accadendo nella nostra chiesa. Dobbiamo riaggiornarci a metà giugno. Sarete a Milano per allora?». «Certo che sì», è intervenuta garrula la Pupa. «Alla fine della scuola andremo al mare ma poi torniamo, sa com'è, sta per nascere il mio fratellino». Al prete prima sono caduti gli occhi sul mio addome (quasi) piatto, poi è franata la mascella. «Eh?». «Sì, don G, vede, ecco, noi... io e il padre della bambina siamo divorziati». «Eh?». «Siamo divorziati». «Cooosaaah?». «Siamo divorziati. Il fratellino di cui parla mia figlia, eeeh... viene dalla parte del papà. Per parte nostra, cioè mia, la sorellina l'abbiamo già avuta. È nata lo scorso dicembre. È lei che battezziamo».
(Lui): «Aaah. Benissimo».
(Io): «Bene».
(Lui): «Perfetto. Perfetto. Bene. Benissimo».
(Pupa): «È una bellissima notizia, vero?»
Siamo fatti in modo terribile e prodigioso (Salmi 139:14) «Pupa, perché devi sputtanarmi davanti al prete? Ti ho già spiegato che non è obbligatorio raccontare sempre a tutti, nel dettaglio, la nostra situazione famigliare». «Mamma, e tu perché usi questa parola? Non l'ho mai sentita, dunque penso che è una parolaccia». «Penso che sia. Quando finirà, la tua guerra ai congiuntivi?». «Perché cambi discorso? Perché dici parolacce?». «Hai ragione. Ora respira profondamente e ripeti con me: "Mamma, mi spiace di averti sputtanato davanti al prete"». «Non posso, è una parolaccia. Comunque sei stata tu, a raccontare tutto al prete. Io, io gli ho solo detto che stava per nascermi un fratellino».

Quanta pazienza.
La pazienza non cresce in una notte/2 Ah, quanta pazienza devo avere. Quanta pazienza, quando chiedo a Mike Delfino di tenere la Piccolissima per mezz'ora in modo da lasciarmi concludere questo post - l'ho cominciato stamani, chissà se riuscirò a metterlo online entro mezzanotte - e lui comincia a roteare per la stanza tipo avvoltoio, ad attendere che io finisca con la bambina in braccio, girandomi attorno in cerchi sempre più stretti mentre lei gracida stanca e stridula, e quando gli chiedo «Puoi andare di sopra un pochino, per piacere», mi risponde stizzito, dopo aver avuto tutta la giornata per sé e per il suo lavoro, «Aaaah, ti piace la vita comoda, vero?».
La pazienza non cresce in una notte/3 Quanta pazienza devo avere, quando prendo la Piccolissima e lei mi vomita addosso per la terza volta in un giorno, e il vomito per una volta non mi finisce sui vestiti ma con misteriosa diabolica precisione scivola giù giù nella scarpa destra, nella stretta intercapedine tra il piede e l'interno della calzatura, di modo che debbo poi andarmene in giro per un bel pezzo facendo scic-sciac, prima di tornare a casa e finalmente cambiarmi. Quanta pazienza ci vuole a stare con qualcuno, a starci davvero intendo, a tenere assieme - in piedi - una casa che non sia solo solida ma anche luminosa. Per fortuna succedono anche cose che ci fanno ridere, e tanto. Come quando l'altra mattina Mike Delfino si è svegliato alle sei pensando che fossero le sette e mezza. Non trovava il cellulare, era convinto fosse tardissimo. Io dormivo beata, lui rimbambito com'era è andato a guardare l'ora sul termostato. Ha letto 23, ha pensato fossero le 11 di sera. Si è stupito per tutta quella luce. Nel dubbio ha deciso di svegliare Baracca e Burattini, li ha portati al piano di sotto, ha ignorato l'orologio a muro e anche quello del forno, li ha fatti vestire, ha scaldato il latte, si è preparato a sua volta. Alle sette del mattino erano tutti pronti a uscire, un po' pallidi e smarriti. «Sono fatto così», mi ha spiegato poi la sera esausto, tra gli sbadigli. «Quando parto, parto. Ormai mi ero alzato, il meccanismo era avviato», si è giustificato. Questa è la nostra vita: meccanismi che si avviano, che arrestare è difficile. Questa è la nostra famiglia: diciamo ai preti quel che non si deve. Facciamo figli. Cerchiamo di tirarli grandi al meglio, festeggiamo compleanni. Tanti auguri, Pupa, scusa se pubblico solo ora questo post. Grazie perché mi hai fatto diventare mamma; grazie perché ancora non dici i congiuntivi, e perché mi spingi fuori dai binari di continuo. Non uso più quell'altra parola che a te non piace, quella che non ripeteresti.