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lunedì 22 febbraio 2010

Bambini molto intelligenti

Il Pupo: se non ci fosse bisognerebbe inventarlo/1
Il Pupo, 15 mesi, ancora non va all'asilo. E così ho due tate: una per il mattino (peruviana, Julia) e una per il pomeriggio (filippina, Fely). Le mie tate mi fanno gli squillini. Sì, avete capito bene: gli squillini, proprio come gli adolescenti innamorati che vogliono salutarsi senza spendere soldi.
L'altro giorno trovo uno squillino di due ore prima. Vedo che è Julia. Ovviamente la richiamo.

(Julia) "Ola mamacita, desculpe se ti disturbo al laboro, ma il bambino è caduto".
(Io) "Come è caduto? E perché non me l'hai detto prima".
"Ho visto che non mi richiamavi, allora ho fatto uno squillino al senor. Comunque niente di grave, ha battuto la faccia sul pavimento, il lavro di sopra si ha gonfiato, non c'è dente rotto però".
"Oh povero ciccio, è come è caduto?".
"Io staba cambiando pannolino, lui ha escappato di corsa perché non gli piace il pannolino".
"Eh già, certo, capisco, non gli piace il pannolino".
"Sì mamacita, è un bambino molto intelligente".
"Certo, ma il problema è che se va in giro senza pannolino fa subito la pipì per terra".
"Claro que si! Infatti è caduto scivolando nella pipì".

Povero Pupo. Me lo immagino, che corre col pisello al vento, sente l'aria fresca sulla pancia, fa una pisciatina e ci scivola dentro. Quando l'altra sera sono tornata a casa ho sentito di amarlo più che mai. Aveva un segnetto rosso sotto il naso e il labbro superiore a canotto. Irresistibile, anche nel suo ricordare vagamente un travestito. Come sarebbe la vita senza il Pupo?

venerdì 19 febbraio 2010

Carnevale e altre amenità

La mia bambina, principessa hawaiana
Lontani i tempi in cui la mia mamma ci cuciva a mano i vestiti - un anno in particolare, vestiti da caramelle fuzzia, gialle e verdi, facemmo un figurone - io, colpevole lavoratrice fuori casa a tempo pieno che guarda con invidia i blog delle madri feltro-artiste, creatrici di "scrap-books", di bijoux e abbigliamento per bambini handmade solo con tessuti naturali, mi accontento di guardare da lontano certi grandi eventi della vita come il Carnevale, che crescendo mi è anche un po' uscito dagli occhi, e di comprare al Conad un costume da Biancaneve floscio e vagamente deprimente. E' con quello, che l'anno scorso si è vestita la Pupa. Del resto lei era tutta contenta, perciò non mi sono sentita in colpa.
Quest'anno sarebbe andata anche meglio: avevamo ereditato da non so più chi un costume da diavoletto, completo di forca di plastica con cui la Pupa ha più volte cercato di accecare il Pupo. Peccato che poi ci siamo dimenticati della sfilata di ieri, all'asilo.
A mia parziale giustificazione devo dire che ieri sono andata ad Acireale (partendo alle sette, e tornando alle nove di sera) a intervistare Marisa Raciti, ve la ricordate? Una donna fantastica (e per sovrannumero ottima cuoca) che oggi mi ha scritto una mail di solidarietà (...) in cui tra l'altro mi diceva "Il tuo viso, pallido come il mio, mi fa capire che sei molto attiva e attenta alle cose". Non sa che abbiamo mandato la Pupa all'asilo senza vestito.
Mike Delfino, poveretto, è anche stato sgridato dalla maestra: «E' una settimana che abbiamo appeso l'avviso della sfilata" (balle. L'hanno messo fuori martedì. E mercoledì l'asilo era chiuso per assemblea sindacale). Grande sensazione di fallimento. Io che in viaggio tra Catania e Acireale, in auto con un gentilissimo giornalista catanese che mi ha fatto da chaperon per tutto il giorno, cerco freneticamente di coordinare mia madre e Mike Delfino affinché parlino con l'asilo, portino alla Pupa il vestito da diavoletto, eccetera. Alle 12 e 30, la telefonata che aspettavo, da mia madre: "Abbiamo finalmente parlato con l'asilo. La sfilata è già stata fatta. A porte chiuse, nessun genitore, perciò non ti sentire troppo in colpa". "Sì, ma la povera Pupa?". "L'hanno vestita da principessa hawaiana. Pare abbia gradito molto".
Vergognandomi come un cane, ieri sera all'aeroporto di Linate le ho comprato un giornaletto della Pimpa. Stamattina, esagerando come sempre si fa in questi casi, le ho pure chiesto se vuole l'abbonamento. L'ho accompagnata all'asilo in macchina cercando di essere piacevole, attenta, amorosa, premurosa più che mai. "Pupa, ti sei divertita ieri alla sfilata?".
"Abbaftanza. E' stata abbaftanza carina."
(Tre minuti dopo) "E adesso perché sei così silenziosa?"
"Stavo pensando a Dio."
"A Dio?"
"Sì. Mi chiedo dove sia, dove stia nascosto, perché non lo vediamo mai."
"E che risposta ti dai?"
"Mi immagino che sia una minufcola ffumatura bianca nascosta in un angolo del cielo. Possiamo vederlo solo se guardiamo con molta attenzione. Ma lui c'è sempre e sa tutto. Sa anche che tra cinque giorni c'è lo fpettacolo dei dinosauri".

martedì 16 febbraio 2010

Regressioni infantili (e degli adulti, pure)

Mentre fuori c'è il Festivàl di Sanremo, nella casa-cantiere
La Pupa ha avviato una bizzarra regressione. Con una certa frequenza, da qualche settimana a questa parte, parla come una bambina di due anni (o meno). Anziché dire «Ti piace il libro?» dice «Piasce i-bo?».
Sgombriamo subito il campo dagli equivoci: non fa ridere, non è tenera, non è accattivante, innervosisce e basta (anche perché spesso non si capisce quel che vuol dire). Sono i momenti in cui una mamma si chiede "Cosa avrò sbagliato? La sto trascurando? Lavoro troppo?" e le risposte sono "Boh. Non mi pare. Sì". Per me: ora più che mai è assai prepotente il desiderio di arrivare viva alla scadenza del 1 marzo (consegna libro - che più che altro è un istant book) e di cercare il conforto di un'amica. Ultimamente le amiche mi mancano molto. Quelle senza figli passano il tempo volando a Marrakech fuori stagione e frequentando corsi di paracadutismo, rafting o sci estremo, quelle con figli sono inguaiate come e peggio di me. Capita anche a voi?
Forse sbagliamo tutte strategia e dovremmo impegnarci per uscire assieme la sera, tra donne, come facevamo un tempo, almeno un paio di volte al mese; ma c'è che l'inverno non aiuta, che bisognerebbe avere due vite sul serio, e guadagnare il doppio, e che a bere più di un bicchiere e mezzo di vino si è già ubriache, e che tra chi allatta, chi ha smesso di fumare e non sopporta più chi lo fa, chi è diventata vegana, chi musulmana è davvero difficilissimo mettersi d'accordo.
Ora per esempio ho fissato una cena per il 2 marzo con due tra le mie migliori amiche, e sono già qui che friggo al pensiero che a una di noi si ammali un figlio, che ci venga un attacco di gastrite il giorno stesso, che il lavoro maledetto ci trattenga in ufficio. Per il resto nella casa-cantiere la lotta con le muffe continua e forse volge al termine, stiamo chiedendo la surroga del mutuo, e presto faremo una mostra di cui vi dirò.
Il Pupo ha cominciato a parlare sul serio: oltre al vecchio "Mamma" dice "Babba-papapapapapà" (Barbapapà), "Bu" (Blu e brum), "Ma" (Mao), di nuovo "Ma" (ma con un'inflessione leggermente diversa, significa "Bau"), "Nenna" (Nonna) e "Nenno". "Papà" da solo ancora no. Ormai schifa le pappe, e verrà il giorno in cui mi deciderò a studiare e a mettere in pratica i suggerimenti di 101 ricette da preparare al tuo bambino per farlo crescere sano e felice. Uno di quei libri da comprare anche solo per sentirsi un po' meno in colpa, in attesa di tempi migliori, che presto verranno (magari con la primavera?)

martedì 9 febbraio 2010

Bizzarre cose

Bisogna pur passare il tempo, bisogna pur che il corpo esulti

In realtà sono settimane tostissime. Non ve l'avevo detto, ma ora ve lo dico:

sto scrivendo un altro libro!

E poiché la consegna è prevista per l'inizio di marzo, davvero in questi giorni non riesco nemmeno a respirare. In questo periodo voi siete come quell'amica che sai che devi chiamare, che vorresti chiamare, e finisce che ogni sera, a letto, prima di crollare svenuta, dici "Oh mamma, domani giuro che mi faccio sentire". E poi la giornata successiva passa e ti accorgi che non hai nemmeno mangiato, figuriamoci il resto. 
Per mancanza di tempo riassumo qui le risposte a domande sparse che qualcuno mi ha fatto di recente:

- La Pupa in realtà le totò sul culetto le ha prese tre volte in vita sua, ma non sa che si chiamano così; due volte è successo perché si è gettata in strada dal marciapiede, una volta perché ha morso molto forte suo fratello.
- Sì, quando la ziaBubu fa da baby sitter i Pupi se ne approfittano e vanno a letto alle 22 anziché alle 20.
- Al Pupo è piaciuta la quinoa col finocchio. A Mike Delfino ha fatto schifo.

L'altra sera io e la Pupa siamo andate a prendere Mike Delfino e il Pupo alla Triennale. Arrivate in macchina davanti al maestoso palazzo illuminato, la Pupa ha esclamato: "Mamma! Ma il fatellino lavora qui, vero?". 
(Io, dopo un secondo di smarrimento) "Certo, Pupa. Come fai a saperlo?"
"Eeeh, l'ho capito subito".
"E sai anche che lavoro fa?"
"... Credo che faccia il pane."
"Il pane? Fa il panettiere?"
"Sì, con quelle manine impasta e impasta e impasta. E il suo pago sono tre pagnotte".

(Credo che "pago" sia spagnolo. Correggetemi se sbaglio. Se è vero, ci dev'essere lo zampino della tata peruviana. Voglio che marzo arrivi in fretta, aver finito il libro, andare alle terme, avere un avatar)

lunedì 1 febbraio 2010

Di cosa parliamo quando parliamo di allattamento

Come accadde che il mio piede produsse latte

Ho ricevuto una mail bellissima. E' la storia di una nascita e l'autrice mi ha dato il permesso di farvela leggere.

«Le donne che hanno appena partorito sono fragili. Lo sono un po’ di più quelle che hanno appena partorito il primo figlio. Un po’ di più ancora, a parer mio, quelle che hanno avuto un parto, anche se non problematico, di tipo cesareo, che ha come conseguenza di farti grattare per il prurito una notte intera, lasciarti allettata e con catetere per un paio di giorni (mentre vorresti disperatamente cullare il tuo bambino), farti gonfiare le gambe, provocarti crampi atroci al ventre mentre con vero senso sadico le ostetriche ti lasciano il bambino in camera, anche se non riesci a nemmeno a reggerti in piedi, figurarsi a prenderlo in braccio. Tutto questo senza che al corso preparto nessuno ti abbia spiegato niente in merito, perché il cesareo lo fanno solo le pappemolli.

E che ti lascia per sempre il rimpianto di non essere stata protagonista davvero di quella meraviglia che è l’inizio di una vita, la vita di tuo figlio.

Sono particolarmente, disperatamente fragili, le donne che oltre alle condizioni di cui sopra, durante tutta la gravidanza, un po’ per il bene del bimbo, un po’ per la fifa dei medici, hanno dovuto rinunciare ai noti farmaci “tiratisu” e “staitranquilla”. Io faccio parte di quest’ultima categoria. Raggiunto il settimo mese di gestazione, veramente disperata, ho finalmente trovato un medico capace di prendersi le sue responsabilità e di prescrivermi il “tiratisu”, che se non ti tiri su va a finire che ti butti giù, te con il tuo bimbo dentro, e tutti questi sacrifici non saranno serviti a nulla. E’ noto a tutti (ma forse non ai ginecologi ignoranti e agli psicologi con manie di onnnipotenza che cercano di propinarti inutili palliativi come l’ipnosi) che i farmaci della categoria “tiratisu” cominciano a fare davvero effetto solo dopo un mese che hai cominciato ad assumerli. Prima di quel mese invece di stare meglio stai molto peggio, ma se sei fortunata stai male come prima.

Sono arrivata al giorno in cui il pupo podalico ruppe le acque assolutamente prostrata. Avevo esaurito tutte le mie energie, e tante me ne sarebbero servite in seguito, perché ancora doveva venire il bello.

Infatti tutti sembrano ignorare il fatto che la gravidanza va affrontata con il giusto spirito positivo e ottimista (spirito che per mancanza dello “staitranquilla” nel mio caso mancava del tutto), che il parto naturale è la cosa più bella del mondo, ma non è colpa tua se il monello decide di mettersi a piedi in giù, i medici non ce la fanno a girarlo perché è paffutello e cocciuto e le ostetriche (forse perché non sono più semplici levatrici) hanno perso la capacità di far nascere i podalici. Che allattare è giusto e doveroso, ma a volte non ce la fai, specie se la tua ansia viene accresciuta da indicazioni contrastanti.

E che dopo tutto ciò ti mandano a casa senza libretto di istruzioni, e tu sei sola con il tuo nanetto e la tua paura. Non sai nemmeno fargli il bagnetto, perché te lo hanno fatto solo vedere su una vidoregistrazione.



Le mia prima foto col bambino, scattata il giorno stesso della nascita, mostra un viso tondo da mamma, sorridente e soddisfatto.
Le foto scattate nei giorni successivi mostrano un viso sempre più teso e disperato.
Della mia permanenza in ospedale ho ricordi confusi, sovrapposti, a macchie.
Il bimbo che non si attaccava, o forse si attaccava e non trovava niente quindi si incavolava di brutto e, rivelando fin da subito il suo carattere forte e testardo, urlava come un pazzo e si rifiutava di riattaccarsi.
Un’ostetrica che mi dice che dopo il cesareo la montata lattea arriva con più difficoltà. Io che non avevo nemmeno il colostro.
La mia vicina di letto invadente che dice questo bimbo è nervoso per la fame, adesso lo allatto io. Io che non riesco nemmeno a pensare, ma vorrei dirle questo bambino è mio, tu gioca con il tuo.
Io che piegata quasi a novanta gradi per il dolore spingo la carrozzina lungo un corridoio interminabile per raggiungere la sala dove c’è tutto l’occorrente per il cambio e poi gli metto il pannolino alla rovescia.

Un’ostetrica, chiamata in soccorso da una collega che non riusciva in nessun modo a convincere il bimbo ad attaccarsi, che mi insegna la posizione a palla di rugby, fa attaccare il bimbo per un nanosecondo e poi se ne va. Il bimbo che si stacca subito.
Un’ostetrica che dice questo bambino non ha proprio nessuna intenzione di attaccarsi. Mi schiaccia la tetta, esce un po’ di latte, dice “Che ben di Dio”, lo raccoglie col dito, io penso questa è talmente fanatica che adesso se lo ciuccia. Invece lo usa per disinfettarmi l’areola. Poi se ne va. Da allora non sopporto più l’espressione “Che ben di Dio”. In casa è vietata.
In sei giorni di degenza nutro il figlio con svariate tecniche, senza capirne né assimilarne nessuna:

- con il biberon di latte artificiale
- con la tetta e il paracapezzolo che ho paura che se lo ingoi
- con un milligrammo di colostro uscito faticosamente tramite tiralatte – tanto che la nutrice di turno della nursery lo mostra a tutte le colleghe trionfante: guardate cosa ha fatto la 19 (era il mio numero di letto, non lo scorderò mai), come se avesse assistito ad un miracolo. Il prezioso rarissimo liquido viene conservato in un reliquiario a siringhetta – senza ago naturalmente – che poi verrà infilata nella boccuccia del bebè
- con tentativo di poppata naturale seguita da disperata ansiosa attesa della preparazione del biberon di latte artificiale – attesa sadicamente protratta ad arte – mentre il pupo urla così forte che le altre mamme lo soprannominano “ugola d’oro”

Il tutto senza dimenticare la doppia pesata.

Io che mi tiro la tetta a mo’di mucca e non esce niente, ma proprio niente. Nel contenitore dopo tanta fatica c’è solo qualche rimasuglio di amuchina.

Io che piangendo supplico mio marito di parlare con la capo ostetrica e di chiederle di non tormentarmi più. Lui che torna indottrinato e plagiato più di me, e mi spiega che l’allattamento è un efficace antidepressivo, molto meglio del “tiratisu”, e che ce la posso ancora fare, devo sforzarmi ancora, per il bene mio e del bambino.

C’era ogni giorno uno spazio di tempo fantastico in cui si poteva dormire (tre ore la mattina, mentre lavavano, pesavano e controllavano i bebè) – anche se nell’ordine ti svegliavano per: provarti la pressione, provarti la temperatura, controllarti in punti vari non nominabili, rifarti il letto e quindi svegliarti proprio e farti alzare, urlarti nell’orecchio: Signoraaaa, la colazioneeee, si svegliiii!
Durante uno di questi periodi di semicoscienza una giovanissima recluta mi scuote con delicatezza e mi dice che mi vogliono nella nursery. Penso che sia successo qualcosa di grave, anche perché mi era stato detto che quel giorno mio figlio avrebbe fatto controlli neurologici perché si muoveva in modo strano (nulla di che, si rivelò poi, ma che paura!). Arrivo tremante alla nursery e una Crudelia mi dice “Ha fame, lo attacchi”. Scoppio a piangere come una fontana, il latte non ce l’ho, lui non si attacca, lasciatemi in pace, sono stanca, non torturatemi, ho sonno, non ce la faccio più. Una collega di Crudelia fa capolino dalla porta e mi dice sottovoce sei tu la mamma, decidi tu, non farti influenzare, avrai tante cose da fare, elimina il problema se non ce la fai, crescerà lo stesso.

Come vorrei sapere come si chiamava per correre ad abbracciarla.


Di notte, stanca, con petto, pancia e cicatrice doloranti, riesco a riempire con il mio colostro il contenitore del tiralatte. Lo maneggio maldestramente con gli occhi che si chiudono dal sonno e lo faccio cadere quasi tutto. A questo punto mi incavolo davvero, tiro di nuovo, molto oltre il tempo consigliato, fino a riempire ancora fino all’orlo.

E finalmente arriva un po’ di febbre e la montata lattea.

Il latte. Che soddisfazione. Adesso sono degna di essere mamma. Ma sono talmente stanca e frastornata che ci vedo male, oppure ho le allucinazioni: mi esce latte da un dito del piede. Chiedo a mio marito di controllare (eroico, le cesarizzate non riescono a lavarsi molto bene, specie i piedi): si tratta di abbondante pus perché l’unghia dell’alluce si è incarnita a causa del gonfiore post anestesia.
Per un giorno intero riesco ad allattare il mio bambino solo al seno, e il suo peso il giorno successivo rivela un buon aumento. Dimentico di specificare all’ostetrica che si è trattato di un giorno intero nel senso che il bambino per 24 ore non si è mai staccato dal mio petto e io non ho dormito mai.


Mi dimettono con le indicazioni “allattamento totale al seno”, anche se io obietto che forse sarebbe meglio il misto. Nooooo, tu sei pieeeeeena di latteeeeeeeee! E che succede con il “tiratisu”? Nienteeeee, non succede nieeeeeeente, al bambino non fa assolutamente male (bè, non potevate dirmelo nove mesi fa?)

Torniamo a casa, tutti e tre. Felici, spaventati.
La seconda notte ho avuto un attacco di panico terrificante, colossale, il peggiore della mia vita. Mio marito ha preso il bambino e mi ha detto: “ci penso io, tu adesso dormi”. Previdenti, avevamo da settimane predisposto in casa tutto ciò che serve per l’allattamente artificiale (cosa che se raccontata avrebbe causato grave disappunto alla docente del corso preparto). Mi sono sparata una cinquantina di gocce di “staitranquilla” e finalmente ho dormito. Quando ripenso a quella notte ancora ho i brividi. Forse, se il bimbo ed io siamo ancora qui, è solo grazie a mio marito.

La mattina dopo mio marito mi ha riportato al reparto maternità per capire cosa fare col mio seno. Lì l’ostetrica plagiatrice e indottrinatrice mi ha abbracciato e consolato mentre tirandomi il latte piangevo e non riuscivo a tenere su la testa per effetto dell’attacco di panico e dello “staitranquilla”. Ha convenuto che in effetti il latte era poco per un bimbo così grossino e affamato, ma era troppo per farlo andare via solo con le pastiglie. Ha dato tutte le istruzioni a mio marito su come fare ad affittare un tiralatte. Fantastico. Dovevo tirarmi il latte due volte al giorno (secondo loro avrei anche potuto darlo al bambino, ma io lo buttavo via perché un pediatra luminare consultato durante la gravidanza mia aveva detto che c’era la possibilità che lo “staitranquillla”, che stavo oramai assumendo in quantità industriali, passasse nel latte e che c’erano in letteratura casi provati).

Non so come facciano quelle mamme eroiche che prima si tirano il latte e poi lo danno al bimbo (ad esempio, in caso di prematuri) senza riposare mai. Io quelle due tirate giornaliere le odiavo. Dopo circa un mese, il giorno del mio compleanno, la ginecologa mi ha finalmente prescritto le pastiglie per far andare via il latte. E’ stato il regalo di compleanno più bello, fino a quel momento. Esattamente un anno dopo, mio figlio me ne ha fatto uno meraviglioso, insuperabile: mi ha dato la manina e ha camminato.

Tornata a casa, ho pensato lo amo così tanto, il figlio gliel’ho fatto, ed è venuto sano nonostante tutto. Adesso di me può succedere qualunque cosa, posso restare per sempre in questo letto, possono anche decidere di ricoverarmi in manicomio, non importa. Ho dormito dormito dormito. Poi mi sono svegliata e ho deciso che dovevo reagire. Tutti si sono stupiti della velocità con la quale mi sono ripresa, in confronto a crisi meno pesanti che avevo avuto in passato.

Non appena sono stata in grado di guidare sono andata dalla mia estetista, che con successivi abili trattamenti mi ha salvato il ditone da una eventuale operazione per unghia incarnita. E’ bravissama, la consiglio a tutti.
Mio figlio adesso ha quattro anni e mezzo, e onestamente è bellissimo. E’ socievole, simpatico, intellegente e particolarmente cocciuto. Gli piace molto andare all’asilo e non sta mai zitto.

Tutto sommato, fino ad ora, le cose sono andate bene, anche se il rapporto a triangolo tra il cibo, mio figlio e me è rimasto pessimo. Ed è stato uno dei pochi motivi di litigio con mio marito.

Vado per i 38 anni, per molti mesi ho avuto scompensi ormonali, ho avuto 2 aborti spontanei, ho 2 ernie al disco, continuo a farmi di “tiratisu” in buone dosi (il medico - quello saggio - ha detto che dopo le mie vicende è normale che non riesca a diminuirle, anche se ci ho provato più volte) e talvolta modiche quantità di “staitranquilla”. Però spero ancora di riuscire ad avere un altro bambino, e magari anche di allattarlo.

Magari in un altro ospedale».