Ho traslocato su erounabravamamma.it

Vi aspetto!

venerdì 21 dicembre 2012

Che poi, il mondo non è finito

Forse a questo punto è il caso di svegliare i bambini
(Mike Delfino, l'altra sera a letto, attorno alle 23.30): «Ehi, lo senti anche tu questo tremore?»
(Io): «In effetti, sì. È come un movimento ondulatorio/sussultorio, vero?»
«Proprio così. Lo senti? In fondo, sui piedi. Parte dal basso e poi va su».
«Come nella canzone di Jovanotti?»
«Non scherzare, questo è il terremoto! Senti, è inconfondibile. Una vibrazione sorda e costante. Che si fa?»
«Lasciami capire che cos'è. Restiamo in ascolto».
«Ma in che senso, capire cos'è? È chiaramente il terremoto. Oddio. Vuoi dire che i Maya avevano ragione?»
«Non so. Fuori mi sembra tutto tranquillo. I nostri vicini si sarebbero preoccupati, ci sarebbe qualcuno in strada».
«E invece no! Perché stanno tutti dormendo. Ed è in questo momento che il terremoto fa più vittime! Ma tu guarda sul telefonino, vedi se il popolo di Twitter, sempre vigile, ha postato qualcosa».
(Io, smanettando furiosamente): «Niente. Nessuna notizia. Strano».
(Lui, con voce cupa): «Eppure la scossa continua. Forse è il caso di svegliare i bambini».
(Io, alzandomi dal letto): «Mi fai fare una prova? Puoi toglierti da lì?»
«Come togliermi? Cos'hai in mente?»
«Vorrei tentare di spostare il nostro instabilissimo, da te amatissimo letto di design, contro il muro. Mi pare sia scostato di qualche centimetro, vedi? Da cui il terremoto. Se invece io lo spingo contro la parete... nnngh... ecco. Prova a sdraiarti di nuovo. La terra non trema più, vero?»
Del resto Mike Delfino è molto popolare e ben noto per i suoi falsi allarmi. Quando d'estate vede un incendio sul fianco della montagna dall'altra parte della valle chiama sempre il 118, ottenendo invariabilmente due tipi di risposte: «Sì, grazie, ce l'hanno già segnalato in quattrocento», oppure «Guardi che quello è un contadino che brucia le stoppie».
Un'altra sua prerogativa è avvisare la polizia per la presenza di valigie o borse sospette in luoghi pubblici. In genere poi resta sul luogo del delitto fino all'arrivo delle forze dell'ordine e si fa volentieri interrogare, pur sapendo che rischia la vita. Vero esempio di cittadino ligio al dovere e strabordante di senso civico, tra i suoi avvistamenti più famosi figurano un trolley della spesa lasciato da una signora al parco giochi e (giusto l'altroieri) una valigetta portacomputer dimenticata da un genitore alla scuola materna del Pupo.
Peraltro, a Dio piacendo La mia amica Cristina mi ha detto: «Stamattina Sofia si è svegliata e la sua prima frase è stata: "Oh, no. Il mondo non è finito. Quindi devo fare i compiti di matematica"». In effetti siamo ancora tutti qua. Ma voi (siate sinceri) eravate preoccupati?
E ora, un consiglio last minute La Pupa ha chiesto a Babbo Natale sette gomme da cancellare, il Pupo quarantasette diversi costosissimi giocattoli dal nome incomprensibile. Come faccio a riportare un po' di equità? Cosa regalereste a un maschio di 4 e una femmina di 7? A chi mi dà l'idea migliore spedisco a casa un libro che ho scritto (anche) io, proprio in tema profezie/fine del mondo. E tanti auguri a tutti...




venerdì 14 dicembre 2012

Chiuso per neve

Non è un Paese normale
(Ieri, alla scuola materna del Pupo, la maestra): «Allora, cara mamma del Pupo, domani se nevica forse non veniamo».
(Io): «Ma in che senso, forse non venite? E se la scuola è chiusa, io che faccio? Mica posso chiamare al lavoro per dire "Scusate, visto che nevica me ne sto a casa"».
«Sai, il Grande Problema è che molte colleghe sono di Fuorimilano, e da lì se nevica è Veramente Molto Difficile raggiungere La Città. Del resto, considera pure che io l'anno scorso ci ho messo 26 ore ad arrivare a scuola: 26 ore per percorrere due chilometri».
«Ma scusa, la festa di Natale in programma per domani? E i bambini vestiti da angioletti, le decorazioni preparate con il pepe misto in grani e la cannella, i pandori, i coccòrn
«Eeeh, la festa di Natale... la festa di Natale magari la spostiamo a gennaio. Guarda, tu fai così: domattina se nevica chiami la scuola, e senti se siamo aperti. Però la festa in ogni caso te la escludo. Te la escludo perché è un vero caos, molte colleghe sono di Fuorimilano... insomma, hai capito.»
«...»
E così stamattina ci siamo armati di natalizia pazienza E abbiamo cominciato a chiamare a intervalli regolari la scuola del Pupo.
Ore 8.00: «Materna XY, buongiorno?»
«Vorremmo sapere se siete aperti.»
«Veramente non ci hanno ancora detto niente. Le educatrici non sono arrivate e la funzionaria non c'è. Provi a richiamare tra un po'».
Ore 8.15 (dopo svariati tentativi, perché il telefono era sempre occupato): «Materna XY, buongiorno?»
«Vorremmo sapere se siete aperti».
«Veramente non ci hanno ancora detto niente. Sono arrivate solo due educatrici e la funzionaria sta cercando di capire. Provi a richiamare tra un po'».
Ore 8.25: «Materna XY, buongiorno?»
«Vorremmo sapere se siete aperti».
«Veramente non ci hanno ancora detto niente...»
«Mi faccia indovinare: provo a richiamare tra un po'?»
Ore 8.34, aka il verdetto «Vorremmo sapere se siete aperti».
«Abbiamo organizzato una classe, sì, ma abbiamo disposizione di accogliere solo i bambini del prescuola. Il suo lo frequenta?»
«Certo che sì! Posso portarlo?»
«Sì ma deve arrivare entro le 8.45, orario limite del prescuola».
«Non ce la farò mai, c'è neve ovunque, siamo a piedi, non siamo così vicini».
«Se non altro ci provi».
(Ore 8.51, io e Mike Delfino, con Pupo in spalla e infarto in corso) «È permesso?»
«Niente da fare. Abbiamo organizzato una classe, sì, ma abbiamo disposizione di accogliere solo i bambini del prescuola. L'orario limite è scaduto».
«Ma voi ci avete dato il permesso di venire solo alle 8.34! Non avevamo il tempo fisico di arrivare prima!».
È seguito dibattito Al termine del quale, dopo aver parlato con la segretaria della funzionaria, tutte le educatrici (tre) presenti, le commesse, lo spazzino che buttava il sale sul marciapiede, altre mamme, alle ore 9.16 la responsabile scolastica ha pronunciato la seguente frase:
«Signora, abbiamo mandato indietro altri genitori. Lei ha ragione, siamo stati noi a darle il permesso di venire solo alle 8.34. Però se lei abita troppo lontano per essere qui in 11 minuti non è neanche colpa mia.»
«Ma lo capisce che è un paradosso?»
«Perfettamente».
«E dunque, visto che ho ragione e questo è un paradosso, il Pupo può fermarsi?»
«Ho dovuto mandare via altri genitori».
«Non voglio passare davanti a nessuno, solo ricordarle che è stata lei a dirmi di venire».
«Ha ragione, però ho avuto delle disposizioni».
«Ma come fa a dirmi contemporaneamente che ho ragione e che devo andarmene?».
«Ha ragione».
«Aaagh! Ho ragione in che senso? Lascio il Pupo oppure no?»
(Voltandosi dall'altra parte, a capo chino) «Ok, lo lasci».



giovedì 6 dicembre 2012

Domani nella battaglia pensa a me

Paola Maraone con una promessa del pop.
Peccato per la faccia da scema mentale
Che siano tempi difficili lo sappiamo tutti e per carità, ci mancherebbe, guai a fare storie, saresti un ingrato. Vi confesso però che domenica sera, terza domenica di fila lavorata, l'idea di attraversare Milano per spingermi fino a un triste studio tv nella parte della città in cui la nebbia è più fitta - anziché starmene a casa a pirlare con i miei figli e con Mike Delfino, a preparare i coccorn caldi, eccetera - mi ha depresso non poco. Anche se dall'altra parte c'era lui, neopapà non so decidere se più improbabile o adorabile, che mi ha fatto ridere tutto il tempo e alla fine dell'intervista (la trovate lunedì su Gioia) mi ha detto: «Ehi, ce la facciamo una fotina assieme?»
Il piccolo di casa, frattanto Ha preso a tossire con un curioso ihn, ihn. La lieve malattia lo rende oltremodo nervoso e irriverente. Ieri sera io e Mike Delfino siamo andati a un concerto lasciando i bambini nelle sapienti mani di due figlie della maestra della Pupa (= meglio di così non si può). Dopo averle palpugnate e rese psicologicamente schiave per un paio d'ore, egli non si capacitava del fatto di dover andare a letto.
(Io, al ritorno) «Allora, com'è andata?»
(Figlia 1) «La Pupa, bravissima».
(Figlia 2) «Ma il Pupo proprio non voleva saperne di dormire».
«Abbiamo insistito un po', lui allora si è messo a fare il gioco della capra e dei cavoli con sé stesso e col Ma: si spostava dal suo letto al vostro, ma poi diceva "ho dimenticato il pupazzo nell'altra stanza", tornava a prenderlo, e ricominciava».
«Alla fine si è chetato, non prima di avermi detto: te sei blutta. Te, non vieni più a falmi da baby sittel».
«Era furibondo. Tanto più che sua sorella gli ha dato subito contro: "Non si dice te, si dice tu"».
Adda passà a nuttata Da giorni il folle tossitore si presenta ondeggiando a un lato del letto - che è sempre il mio lato del letto. Io in genere sto facendo sogni bellissimi che prevedono la presenza contemporanea mia e di Robbie Williams o Jovanotti o simili (deformazione professionale). Ogni volta mi viene un mezzo infarto perché questa creatura alta un metro e dieci mi si spalma contro e all'improvviso mi alita all'orecchio frasi romantiche come: «Mi sono fatto la pipì addosso».
A proposito della pipì - ve lo chiedo perché so di essere nel luogo giusto - secondo voi come devo comportarmi con il Pupo? Di giorno vive senza pannolino da quando aveva due anni, di notte invece se non glielo metto si bagna. Se glielo metto, al mattino lo trovo asciutto. In buona sostanza, di notte non ha ancora (o non vuole avere) il pieno controllo della vescica. Oltre a ciò si diverte a prendermi in giro. Che fare, dunque? Lasciare che si bagni finché non impara? Aspettare che passi l'inverno, poi agire? Grazie per un consiglio.
Ps: per non salutarvi su un argomento poco elegante come la pipì, vorrei segnalarvi questo libro dedicato a un altro annoso tema. Si intitola Alice e il ciuccio, secondo me è delizioso - nel vero senso della parola - e se vi interessa, potete trovarlo qui.

giovedì 29 novembre 2012

Mi sono nascosta ancora vicino all'acqua gazata

Se il Pupo nel buio si stringe a me
Siamo diventati tutti fanatici del nascondino. Ve lo consiglio: è terapeutico. Dopo una frenetica giornata fuori, in pochi minuti ti rilassa e ti spegne il cervello. Noi ne abbiamo previsto due varianti: una in cui giochiamo chiusi in dispensa e una in cui, invece, ci si nasconde in tutta la casa. Pur essendo la dispensa uno spazio ristretto, una piccola stanza per giunta affollata di oggetti, questa variante presenta i suoi vantaggi. Il primo dei quali è che la Pupa non se la fa addosso per la paura. Il secondo è che, quando tocca a lei stare sotto, il Pupo mi salta in braccio nel buio, poi comincia a baciarmi sul collo e mi sussurra: «Mamma, ti amo. Adesso nascondimi». L'oscurità gli trasmette l'ardore che a volte alla luce gli manca.
Capitano, qua e là, dei problemi logistici Perché il Pupo si imbizzarrisce random, e quando tocca a lui contare non sai mai se si fermerà a venti, a otto, a quattordici, a quattro. Perciò, sei lì che nemmeno hai cominciato a valutare in quale angolo schiaffarti ed eccolo già lì a brancicarti con le manine, a dire: «Mamma, ti ho preso! Perché ti sei nascosta ancora vicino all'acqua gazata?».  Di tanto in tanto, pretende di far giocare anche il Ma (il ratto di peluche da cui non si separa mai), salvo poi arrabbiarsi con lui perché non sa contare.
Alla scuola materna le maestre del Pupo Ieri, in un colloquio durato un'ora intera, per fortuna nessun riferimento all'utilizzo del biberon. Ci hanno detto in sostanza che il bambino è vivace e intelligente - e noi: oh, davvero? - ma, a tratti, indisciplinato e provocatorio.
(Maestra): «Per esempio, si mette le scarpe e la giacca al contrario pur di uscire al più presto a giocare. Se perde una scarpa in giardino non si preoccupa, ma continua tranquillo le sue attività. Per fermarsi all'improvviso, mentre sta correndo, si butta in ginocchio e buca i pantaloni».
(Io): «Sì, lo so. Mi ha spiegato che è il suo modo di frenare».
(Maestra): «A tavola frega con nonchalance la frutta dai piattini dei compagni».
(Io): «Ma loro vorrebbero mangiarla?».
«No, è quella avanzata».
«Ah».
(Maestra): «A tavola vostro figlio a volte toglie le scarpe e si siede a gambe incrociate, come se stesse facendo yoga».
(Io): «La schiena però la tiene dritta?».
«Drittissima».
«Bene, nello yoga questo è fondamentale».
(Maestra, sospirando): «Insomma, questo bambino non rispetta La Regola».
(Io): «Temo che abbia preso da me. Per esempio, dove lavoro io, all'entrata, dovrei passare il badge per il rilevamento delle presenze, ma non lo faccio».
«Perché, scusi?»
«Così, senza motivo. È questo il bello. Però, come vede, per il resto ho una vita abbastanza normale».
Tutto dipende (da che punto guardi il mondo) E stamattina, già che c'ero, colloquio con la maestra della Pupa. In pasticceria.
(Maestra): «Sua figlia è troppo forte. Stavamo studiando sce, sci, schie, scie e lei ha scritto: "Mi piacciono moltissimo gli sceriffi coi baffi". E poi: "Adoro nuotare in piscina sulla schiena della mamma". Sente com'è armonioso e creativo l'alternarsi dello sci e dello sce
(Io): «Ne sono felice. A proposito, ieri a scuola ha perso una scarpa, una ballerina viola. Mi aiuta a recuperarla?».
«Certo. Mi raccomando, a Natale niente regali a noi insegnanti. Ah, è arrivato il finanziamento del Coni per l'educazione motoria. Ora che mi viene in mente, le interessano le arance biologiche? Ha visto che belle, le foto della marcia dei diritti dell'Unicef? Come sta quel fenomeno di suo figlio?»
«Bene, però mi hanno detto che ha qualche problema con La Regola. Fa cose gravissime, tipo rubare la frutta avanzata dai piatti degli altri».
(Lei, prendendo senza farsi vedere un biscottino dal tavolo del vicino): «Uhm. Gravissimo. Vuole un altro bigné?».
Questa è un po' sottile ma so che la capirete Ieri sera cercavo di mettere a letto il Pupo, argomento su cui temo mi toccherà scrivere presto un altro post. Abbiamo discusso parecchio, mi sono quasi arrabbiata, lui si è a sua volta seccato e roteando su sé stesso tipo Ken Shiro mi ha guardato minaccioso e muovendo le braccia tipo marionetta mi ha detto: «Mamma. Se non la smetti ti dò un colpo di carattere».
A questo punto mi piacerebbe tanto sapere da voi a) cosa fate per rilassarvi assieme ai vostri figli e b) cosa pensate (se pensate qualcosa) di un bambino che non si preoccupa di correre in giardino senza scarpe.



giovedì 22 novembre 2012

Giro d'Europa in 72 ore

Una cosa allucinante che non farò mai più
Io, cioè la cavia, in aereo con Rihanna.
Intendo rassicurare coloro che si fossero nel frattempo chiesti (alcuni in effetti mi hanno scritto anche via mail) che fine ho fatto: nell'ultima settimana sono stata a Stoccolma, Parigi, Berlino, al seguito della popstar mondiale nota come Rihanna.
In occasione della pubblicazione del suo settimo album Ella ha organizzato un ambiziosissimo tour, chiamato 777: 7 concerti in 7 città, in 7 giorni. E ha deciso di imbarcare su un Boeing 777 noleggiato per l'occasione un centinaio di giornalisti e altrettanti fan da 70 Paesi del mondo, attirandoli con il miraggio di «incontri/interviste/tempo di qualità passato assieme»).
Nulla di tutto ciò è accaduto, poiché Ella possiede la naturale inclinazione a frequentare afterparty dopo i concerti, a non sentire le sveglie, a presentarsi agli appuntamenti (e sul palco) in ritardo di due, tre, quattro ore. Ebbene, ho avuto il privilegio di trascorrere con la sua proiezione ologrammatica (della serie: beato chi l'ha vista) 72 ore appena, abbondantemente sufficienti a inserire quest'esperienza nella Top Ten delle 10 cose più allucinanti che ho fatto in vita mia. Vi interessasse, trovate il resoconto completo su Gioia; qui vi dico soltanto che a un certo punto per la fame, il sonno, la disperazione, i ritardi accumulati per colpa della Star, un mio collega australiano, per fortuna belloccio, si è spogliato nudo come mamma l'ha fatto e ha cominciato a correre su e giù per il corridoio dell'aereo, urlando, «Esci, Rihanna! Fatti vedere, se hai il coraggio!». Di lei, ovviamente, neanche l'ombra.
I Pupi mi hanno fatto sapere tramite i loro legali che intendono dismettermi dal ruolo di madre. Preferiscono farsi affidare a un tutore. Anche perché, dopo un breve transito milanese di 24 ore, l'altroieri mattina sono dovuta ripartire alla volta di Parigi in auto con Mike Delfino. Ma questa è un'altra storia, e soprattutto, adesso - cioè ieri sera - sono rientrata (inutile specificare che ora non intendo muovermi dal quartiere Dergano-Bovisa almeno fino a Natale).
E adesso sparatemi Martedì mattina, prima del viaggio in auto a Parigi, ho portato a scuola il Pupo e ho chiesto alla maestra di poter lasciare anche la sua valigia (avrebbe dormito dalla nonna, quella sera) in aula. Purtroppo, accidenti a me, dalla valigia mi è caduto un biberon.
(Maestra): «Mami! Non mi dire che beviamo ancora dal biberon» (ecco, io non so voi, ma a me quelli che fanno le domande in prima persona plurale lasciano un po'... cioè... insomma).
(Io - ricordate che ero reduce da Rihanna). «Ebbene sì. Se capita, se siamo in giro, se siamo stanchi, cioè in pratica il 99 per cento delle volte, beviamo ancora dal biberon».
(Maestra): «Aaaah. Adesso si capiscono tante cose.»
«Tipo quali cose, scusa?»
«Aaah. Tanti atteggiamenti. L'atteggiamento per esempio di tuo figlio nei confronti della Regola».
«Non vedo il nesso, scusa».
«Eeeh.»
«Ancora non lo vedo».
(Lei, stringendosi nelle spalle): «Abbiamo combattuto contro il ciuccio e abbiamo vinto, Mami. Ora combattiamo anche contro questaaaah cosaaah. Il bambino deve crescereeeh. Eeeh.»
E così sono partita per Parigi, in auto, dopo aver dormito una media di 4 ore a notte nell'ultima settimana, con le palle che mi giravano a elica un lievissimo nervosismo addosso. Intanto però pensavo sorridendo tra me e me che non conosco bambino più autonomo, profondo, consapevole, dispettoso dotato di forte personalità del Pupo. E poi, sorridendo pure un po' di più... quanto sono fuori contesto le domande della nostra troll-persecutrice, la tizia anonima che periodicamente viene su questo blog ad accusare chi è diventato genitore «di pensare solo ai figli, e avere il cervello in pappa»? Aaah. Eeeh. Ditemi che ne pensate del biberon, e anche di Rihanna.



sabato 10 novembre 2012

Tanti auguri, Pupo

Il Pupo a 4 anni entra in Fase Mistica, però
Ebbene sì, è arrivato il momento. Proprio domani il Pupo, da alcuni lettori di questo blog chiamato affettuosamente «il Sagace», compie 4 anni. Mai avrei pensato che mio figlio a quest'età sarebbe diventato un Grande Mistico. E che avrebbe, pure, con tanta disinvoltura alternato le cose di questo mondo e la trascendenza. Proprio l'altro giorno la maestra a scuola mi ha detto: «Signora, ho rimproverato suo figlio perché dice di continuo "Sei stupido", a chiunque».  
Purtroppo è vero, ho ammesso io chinando il capo. Nelle ultime settimane, alla più piccola frustrazione egli reagisce insultando. «Ssstupido» è per lui lo sgarbo d'elezione, una parolaccia-prezzemolo, un passepartout valido per infangare i compagni della scuola materna come il nonno. In effetti, lo dice anche ai sassi, ai pesci rossi, ai lombrichi nelle pozzanghere - che può anche darsi se lo meritino, ma in fondo non hanno fatto nulla per provocarlo.
Sul perché i bambini dicano le parolacce Gli esperti hanno ragionato molto. Secondo una delle versioni più accreditate avviene per rabbia, paura, gelosia. O per attirare l'attenzione, cosa che riconosco possibile nel caso di una personalità strutturata come quella del Pupo - qualcuno ricorderà che la sua prima parola è stata «Mamma», e la seconda «Scéeeendele!!!», per indicare che voleva essere estratto dal lettino. In ogni caso, la ripetizione dello «stupido» è fastidiosa, e alla lunga fa saltare i nervi, per quanto poi il Pupo tenti di fare ammenda distribuendo, un istante dopo, i suoi «Sei un cuole» qua e là.
Grazie al cielo Una larga parte delle risorse del Povero Totone (così si è, di recente, autobattezzato mio figlio) in questo momento viene dedicata alla mistica e alla teologia. Non vi svelerò ora cosa penso, per esempio, dell'educazione religiosa nelle scuole perché vorrei tornarci sopra in futuro, e poi perché questo post è dedicato al compleanno del Pupo. Però le grandi domande dei bambini in tema di fede mi affascinano. E mi affascina pure raccontarvi che uno scrittore secondo me molto bravo, Bruno Tognolini, di recente ha raccolto tra i più piccoli alcune perle a tema teologico. Tipo: «Venite a Doremus»  (=folcloristico paesello sardo), ma anche le sensate «Non nominare il nome di Dio in bagno» e «Dacci oggi il nostro pane, e poi vediamo». La Pupa l'altro giorno mi ha chiesto: «Mamma, ma chi sono i beccatori?» e tutti e tre i figli di una mia amica si sono interrogati per anni, senza osare chiedere, sul senso della frase «Adesso e nell'ora della buonanotte».
Il Pupo, dal canto suo, negli ultimi giorni ripete con insistenza «Hanno ammazzato Gesù, pelò Gesù è vivo», una specie di rivisitazione di Pablo di De Gregori. I bambini più grandi sono più scafati di lui: ho sentito un compagno di scuola dire in tono sbrigativo, «Gesù è quello che è morto ed è finito sulla X». Un teenager che non aveva mai fatto religione a scuola ha chiesto a sua madre, davanti all'Ultima Cena: «Ehi, chi è tutta questa gente seduta a tavola?», ma tutto sommato preferisco quando il Pupo mi chiede, nei momenti di maggior ispirazione, «Ma Dio lide o sollide?».
Per scrivere questo post ci ho messo circa 4 ore perché il Pupo mi ha interrotto di continuo, soprattutto nell'ultima ora e mezza, cioè da quando tento di metterlo a letto. È molto eccitato per via della festa di domani - ha voluto invitare TUTTI i suoi compagni di classe - e mi avrà sibilato dieci volte «stupida» per i più diversi motivi. Pur amandolo molto, sono perplessa. Al solito, accetto consigli (e auguri!)

venerdì 2 novembre 2012

Sì, viaggiare (in macchina con i Pupi, e altre storie)

Mio figlio non fa domande. Mio figlio afferma
(Pupo, dal sedile posteriore, durante un lento e pigro viaggio in auto): «Mamma, lo sai che io ho tlentamila amici di Facebook.»
«Davvero, Pupo? Beato te. Ma tu lo sai cos'è Facebook?»
(...)
(Ancora il Pupo, un minuto dopo): «Mamma, lo sai che dentlo di me vive una pelsona che ha cinquantamila anni. Si chiama Ludovica e fa la maestla. Anzi: faceva la maestla».
(Pupa, gesticolando furiosamente, dal sedile a fianco al suo): «Mannò, Totone. Non esistono persone di cinquantamila anni. Il massimo è 114 anni».
(Pupo): «Ah.»
(...)
(Pupo, cinque minuti dopo): «Dio è il papà di tutti noi».
(Io): «Te l'hanno insegnato a religione?»
(Pupo, riflessivo): «Mamma, lo sai che Gesù è vivo in mezzo a noi».
Mio figlio non ha più voglia di andare a letto 
Da bebé, il Pupo era uno spettacolo. Pochissimo capriccioso, dolcissimo e molto autonomo. Fin dai primi mesi di vita s'innervosiva se cullato: piuttosto, si addormentava volentieri da solo, ciucciandosi il dito o strofinandosi con un lenzuolino. A un anno, poggiato nel lettino alle ore 20, mi faceva un gran sorriso e poi «ciao-ciao» con la manina, piegava il capino di lato e alle 20.01 dormiva.
Progressivamente la situazione è peggiorata. Da qualche settimana le procedure per metterlo a letto sono diventate uno sfinimento. Può volerci anche un'ora, durante la quale lui si alza mille volte perché non trova «quella specie di bibe con l'acqua» (=la bottiglietta di plastica con la chiusura di sicurezza), «la copeltina pel fale le mie cose» (=ravanarsi un po'), «il mio Ma» (=il suo pupazzo preferito). Oppure vuole un bacio, le coccole, ancora qualche bacio, o ancora all'improvviso reclama «un adulto che scacci i giganti di fango che sono compalsi a fianco del mio letto» (il Pupo ha una proprietà di linguaggio straordinaria e usa benissimo i congiuntivi. La pronuncia delle parole, in compenso, fa schifo).
Minacciato da me e Mike Delfino, esausti e frustrati dopo lunghi quanto vani tentativi, il Pupo si trasfigura e tenta la carta dell'aggressione volgare. «Bàfanculo!». «Pupo, la misura è colma. Ora finisci in castigo. Dove l'hai imparata questa parola orribile?». «Me l'ha insegnata Lolenzo Jovanotti».
Jovanotti, peraltro, a casa mia è un mito
L'unico a cui non piace è Mike Delfino: da quando gli ho confidato che io, a 18 anni, sognavo di sposarlo ne è orribilmente geloso. Ma noialtri, noialtri lo adoriamo. Il Jova è l'amico immaginario del Pupo (vedi sopra) e soprattutto l'idolo della Pupa, che vuole sempre ascoltarlo. L'altro giorno in macchina abbiamo messo su Quando sarò vecchio, canzone bellissima ma che contiene un paio di espressioni forti tipo c****oni e c**o.
(Pupa, aka Madre Teresa di Calcutta, gli occhioni sgranati): «Mamma, perché Jovanotti dice queste parole?»
(Io): «Perché è un adulto. Ed è un artista. Dunque gli è permesso usarle, ma solo ogni tanto».
(Pupa, trasognata): «Anch'io voglio essere un adulto artista».
(Pupo, che fino a quel momento sembrava dormisse): «Bàfanculo!»
Errori che continuo a ripetere
In chiusura, un piccolo elenco di errori che continuo a ripetere.
1. Comprare e ri-comprare il preparato per budino. Attualmente in dispensa ne ho sei, di marche e gusti vari (1 creme caramel, 3 vaniglia, 2 cioccolato). Tutte le volte che vado al supermercato, davanti allo scaffale mi domando: «Ce l'avrò? Forse è meglio che per sicurezza lo riprenda, casomai nel weekend mi venisse voglia di farlo». Poi apro lo sportello della dispensa e vedo tutto quel bendiddìo inutilizzato, e mi mordo le mani.
2. Trattare con sciatteria oggetti che meriterebbero cura. Per esempio, quando compro un indumento nuovo poi tendo a strappare le etichette fastidiose con impazienza. Risultato: lo buco o lo rovino, ogni volta imprecando e dicendo a me stessa che non devo farlo più. L'altroieri è toccato a un bel maglioncino lilla, la settimana scorsa a un paio di slip che temo siano irrecuperabili.
3. Trattare con sciatteria oggetti che meriterebbero cura/2. Nel disimballare, dopo il trasloco dell'azienda per cui lavoro, i miei oggetti personali ho tranciato in due con le forbici le cuffiette che usavo per ascoltare la musica. 
4. Trattare con sciatteria oggetti che meriterebbero cura/3. La sera, guardando un film davanti alla tv con Mike Delfino, poggio un calice di vino di fianco al divano. Faccio cadere (e rompo), urtandolo inavvertitamente, almeno un bicchiere a settimana. L'altra notte ho sognato che compravo 42 calici nuovi e spendevo 84 euro più le tasse (?). Numeri forse da giocare al lotto.
Se vorrete condividere con me strategie per velocizzare l'addormentamento del Pupo oppure, per farmi sentire meno sola, confidarmi uno degli errori che continuate a ripetere (avrete anche voi qualche scheletro nell'armadio - spero), soyez le bienvenu.



giovedì 25 ottobre 2012

Gli uomini vengono da Marte, eccetera

Quello che avete in mano non è un idrante
Il Pupo al battesimo della sella.
Nel bagno di una latteria-trattoria dove vado ogni tanto a pranzo, c'è un cartello che dice: «Avviso per i signori clienti (uomini). Quello che avete in mano non è un idrante, e per terra non c'è un incendio».
Ecco, questo cartello mi fa ridere tutte le volte che lo leggo. Rido un po' meno - ma neanche poi tanto, in fondo - da quando il Pupo ha preso a fare un uso sconsiderato del suo personale estintore.
Le regole del Pupo L'altra sera l'ho accompagnato in bagno per le abluzioni per-nanna. E qui vi enuncio le regole del Pupo: 1. Se la popolazione maschile pronuncia una media di 7.000 parole al giorno (dati di una ricerca pubblicata su Science magazine), il Pupo, che ciarla senza soluzione di continuità, credo arrivi a 70.000. 2. Se per brevi istanti è anche capace di non fare nulla, gli è impossibile non parlare. 3. Come la maggioranza degli uomini, non è multitasking. In bagno, in piedi davanti al water, a un certo punto ha cominciato a raccontarmi le ultime imprese di Ben Ten.
Per raccontare, si sa, è necessario gesticolare. Mollando la presa, cioè l'idrante, cioè l'arnese.
(Io): «Pupo, ma cosa fai, guarda dove stai facendo pipì!» (=ovunque: sul muro, per terra, sui pantaloni del pigiama).
(Lui, serafico, abbassando lo sguardo per constatare il danno, con aria serena): «Non è un ploblema».
Poi ha afferrato uno strappo di carta igienica e ha cominciato a passarselo sul corpo, per terra, sulla tavoletta del wc, poi di nuovo sul corpo, convinto in questo modo di pulire perfettamente sé stesso e pure il bagno. «Hai visto, mamma? Ola è tutto a posto. Sei un cuole».
Quando il Pupo dice «Sei un cuore» Io mi sciolgo. Così ho cominciato a sbaciucchiarlo com'era, ancora un po' umidiccio. Ecco: forse il senso di questo post è che mi ha fatto una gran tenerezza pensare che per lui andasse bene così. Secondo lui, il semplice gesto di passarsi qua e là un quadratino di carta igienica aveva sistemato tutto. Se è vero che la bellezza è un concetto relativo, lo sono pure l'ordine, la pulizia. E in effetti, dalle schegge di ricordi che emergono qua e là quando penso alla mia infanzia, mi viene in mente che da piccola certe cose non le notavo proprio. Tipo: la mamma di un mio amichetto delle elementari, che oggi, guardando indietro, definirei vagamente hippie, tendeva a girare nuda in una casa disordinatissima. Io trovavo un po' strano il contrasto tra l'estremo candore della sua pelle e il nero di quel vello che le spuntava sotto la pancia; quanto agli oggetti disseminati qua e là in ogni angolo, li vedevo anche, ma poi evidentemente pensavo, come il Pupo, «Non è un ploblema».
Ancora a proposito di pipì Semmai trovo problematiche, invece, le teorie folli che ciclicamente prendono piede. Su Facebook, l'amica di un'amica scrive candida in bacheca: «Che soddisfazione aver curato l'otite della mia cucciolina con una goccia della sua pipì, quando il pediatra aveva prescritto l'antibiotico!». E giù, tutti a cliccare «mi piace». Ed ecco che all'improvviso mi viene voglia di sapere cosa ne pensate voi di questi nuovi trend.




http://www.youtube.com/watch?v=zP9KWG-Y5OM

giovedì 18 ottobre 2012

Certe cose non le puoi controllare

Ma proprio questa è la sfida. Questo, alla fine, il senso
scatole, scatole, scatole


colazione di benvenuto (il primo giorno)
Titolo un po' criptico ma adatto a definire il crocevia esistenziale che attraverso in questo preciso momento. Il trasloco, almeno quello, è fatto. Al nostro arrivo nella nuova sede abbiamo pure trovato una mela di benvenuto su ciascun tavolo (non si segnalano al momento casi di avvelenamento). In questo open space funzionale, ultramoderno, efficiente i colleghi squadernano buone intenzioni.
«Giuro che non accumulo più ciarpame inutile fino a far scomparire la scrivania».
come quando fuori piove
«Siccome qui non c'è la mensa mi porterò da casa deliziosi pranzetti salutisti, verdure cotte condite col limone e tè verde biologico con zenzero». «Vuoi una fetta di panettone col cioccolato?» «Volentieri, grazie».
una mela a testa
«A stare qui mi sento una persona migliore. Mi sento, guarda, più americano».
«Adesso se quella non tace l'ammazzo. Ma che voce ha? Tenetemi perché vado lì e la spengo con una tappata in testa».
«Vuoi fare un corso di yoga in pausa pranzo?» «Piuttosto preferirei prendere a calci un sacco».
«Come c... si caricano le foto su Facebook?». «Non chiedere a me che in queste cose sono una scema mentale». «Alla faccia del giornalismo digitale».
Nel frattempo, a casa Siamo, in questo periodo, senza tata.
(Mike Delfino, nei giorni scorsi): «Dai, proviamo a cavarcela da soli. Chiamiamo semmai qualcuno che ogni tanto venga a dare una pulita».
(Io): «E se i bambini si ammalano?».
«Maddài. Stanno crescendo, questa è un'eventualità sempre più remota».
«Sarà. Sappi che se succede io non posso assentarmi dal lavoro. Mia madre dorme fino alle nove e poi abita dall'altra parte della città. Come intendi gestire le emergenze?»
«...»
Stanotte, alla solita ora indefinita Spunta ondeggiando accanto al mio letto quel trottolino del Pupo: «Mammmaaaaaaah!» (urlando, a un centimetro dal mio orecchio) «Ho gomitaaaaatooooh!».
E in effetti. Tra l'altro la Pupa è in Fase Campeggio, il che implica che gli dorme accanto, su un materassino, imbozzolata in un sacco a pelo. Fortuna ha voluto che l'abbia mancata per una manciata di centimetri. Così lo cambio, pulisco, lo rimetto a nanna e la cosa sembra finire lì; senonché stamattina, appena sveglio, gli è partito un geyser. Poveretto: appena finito, ha sospirato e mi ha detto «Mamma, sono pleoccupato».
effetto Mondrian
Scesa al piano di sotto ho consegnato la bomba a Mike Delfino. «Ma che davvero, lo lasci a me?». «Eh, già», ho risposto scapicollandomi fuori con la Pupa, che nel frattempo faceva melina nel tentativo di restare a casa. «È tuo fratello a star male, non tu». «Sì, ma io voglio tenerlo consolato». Così siamo arrivate tardi e ho dovuto praticamente lanciarla dentro la scuola, facendola passare dall'ingresso dei perdenti (=quelli che arrivano dopo le 8.30, anche se di pochi secondi).
Perplessità diffuse Un paio di ore dopo mi ha chiamato mia mamma, la donna delle emergenze in assenza della tata. «Guarda che Mike mi ha lasciato qui tuo figlio». «Ti ha portato anche un cambio di vestiti?». «Sì, però bagnati. Ora il Pupo poveretto se l'è fatta addosso e lo devo tenere in mutande finché non si asciugano». «Non avrà capito che doveva prenderli dall'armadio, e non dallo stendipanni». «C'è un'altra cosa: ieri sono andata a prenderlo all'asilo e aveva una scarpa blu e l'altra nera. Ho chiesto a Mike Delfino se c'entrasse qualcosa, ma mi ha risposto: "No, deve aver fatto tutto da solo". Sai com'è, ho i miei dubbi».
La domanda della settimana Ora, non è che voglia assurgere alle vette insuperate dell'Oroscopo di Internazionale, anche perché non so nulla di segni zodiacali. Però mi piace pensare di fornire (e avere da voi) qualche spunto di scambio e riflessione. Perciò la domanda della settimana è: qual è il vostro rapporto con il concetto di controllo? Riuscite a «lasciare andare», a essere fatalisti, ad accettare? O non siete capaci di lasciare nulla al caso? Il vostro approccio cambia a seconda che una cosa sia più o meno importante per voi?

CREDITS: photo by Gloria Ghiara


giovedì 11 ottobre 2012

Trasloco. Giornata uggiosa

Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie
Stiamo traslocando. Cioè: la mia azienda trasloca. Il palazzone anni 90 che questo pomeriggio lasceremo è più fatiscente che mai. Nei corridoi sembra di stare a Beirut, polvere e scatoloni ovunque, ma non è solo questo. È come se gli oggetti si fossero arresi, avessero abdicato alla loro funzione. Tutto sembra come sbiadito, sospeso in attesa dell'Armageddon finale; hanno (s)venduto i vecchi arredi, il piano terreno è invaso di piante malconce, che sperano invano che qualcuno le adotti.
Il genio creativo dei colleghi lo vedi dalle piccole cose. C'è quella che guarda caso nel momento cruciale si è data malata, in modo che qualcuno facesse le scatole per lei. Quella che taglia con cura lo scotch perché le piace «lavorare in modo simmetrico». Quella che come me fa tutto di fretta, con risultati estetici un po' borderline. Ciascuno di noi può riempire un massimo di cinque scatole, perciò abbiamo dovuto liberarci di tutto il ciarpame ammassato per anni. Bottiglie di Coca Cola scadute, spugne a forma di babbo Natale, la sagoma di un Pinocchio in cartone su cui qualcuno, non si capisce perché, aveva scarabocchiato la scritta «Fucking Anna Frank». E poi tutti i faldoni con le vecchie cartelle stampa della moda, i comunicati con le scritte ancora in lire, gli scheletri di orchidee, ciclico omaggio di qualche pierre, a stagliarsi inquietanti contro i vetri delle stanze ormai vuote.
L'aria è elettrica, i rapaci volteggiano. C'è chi con noncuranza dà un'occhiata alle altrui scrivanie, sia mai che avessero lasciato qualcosa di prezioso. Un po' come in tempo di guerra, le cose più insospettabili acquistano valore. Uno scotch col suo portascotch, forbici senza l'etichetta con il nome dal proprietario, pinzatrici, pennarelli indelebili: sono queste le merci più richieste da chi sta per mollare gli ormeggi e transitare verso l'ignoto. Il nuovo ufficio sarà moderno, funzionale, più centrale, più colorato. Però con la metà dello spazio, la metà dei bagni, un decimo della privacy: tutti nell'open space a spiarci i segreti, a sentire non volendo le telefonate degli altri, assistere alle fisiologiche risse, sbirciare chi arriva tardi e se ne va via presto.
Mette addosso un'inevitabile ansia, questo mondo che sta per finire. Girano voci. «Bisogna mettere il cartello col nome anche sulla tastiera e sul mouse». «Se volessero licenziarci oggi non dovremmo neanche tornare a fare gli scatoloni con le nostre cose». «Nella nuova sede non c'è la tv. Peccato, mi faceva status». «Un microonde lo faremo comparire, poi son cavoli loro». «Ti pare sensato che si debba etichettare anche il mouse?». «Al settimo piano c'è una vendita». «Di cosa?». «Di tutto». «Questa ha lasciato qui i libri di inglese». «Tanto non ha imparato niente, buttaglieli». «Deve ancora passare la Manuela a raccogliere gli ultimi strapanicci». «Hai messo la dannata etichetta sul mouse?»
Tra le mura domestiche, pure, ciascuno di noi trova il suo personale conforto. Io sono molto curiosa perché il Pupo oggi fa la sua prima lezione di gioco-danza, unico maschio in un gruppo di femmine. Stamattina parlando con sua sorella le ha chiesto: «Hai fatto lo scimmiòn alla tua bambola?». L'altro giorno al parco, invece, mi ha detto: «Mamma guarda, un pono», e confesso che ci ho messo un po' a capirlo. Poi mi è venuto in mente: singolare, pono. Plurale, pony.
Piccola riflessione finale L'altro giorno per caso ho letto alcuni dati sui traslochi. Sappiamo tutti che lo stress da trasloco è paragonabile a quello di un lutto o di un divorzio. Ecco, cambiando ufficio mi sono tornati in mente i quattro traslochi che ho affrontato negli ultimi... vediamo... sei anni. Le cose perse, le cose rotte, le liti, le unghie nere e le mani screpolate, la speranza di non farne mai più in vita mia. Voi avete avuto la fortuna di traslocare di recente? Col fai-da-te, o vi siete affidati a un'impresa? Ci sono errori che non rifareste? Consigli che avete voglia di condividere?

giovedì 4 ottobre 2012

Oh, giorno davvero mirabile

Va detto: le sorprese arrivano quando meno te l'aspetti
Di questi tempi ho letto o sentito casualmente molte dichiarazioni di donne - mamme, blogger, professioniste, casalinghe, giovani, diversamente giovani - che più o meno dicono: «D'ora in poi, lo giuro, mi riprendo i miei spazi. Quelli là (figli, mariti, fidanzati, colleghi, comunque maschi) hanno finito di sfruttarmi. Perché io adesso faccio un passo indietro, vado alle terme in pausa pranzo, al cinema da sola, dal parrucchiere a farmi lo shatoush anche se c'è la crisi. Col cavolo che mi infilo all'Esselunga all'ora di punta a far la spesa per tutti. Ci vadano loro, all'Esselunga, se vogliono mangiare».
Dichiarazioni pericolose Dire certe cose ad alta voce può essere controproducente. Personalmente sono convinta che valga la pensa di agire in silenzio, senza troppe esternazioni. Prendete per esempio l'altra notte: pur essendo momentaneamente tornato in salute (vedi, ehm, il post precedente) il Pupo non rinuncia ai proclami notturni.
(Ore 2.15) «Il lazzo, il lazzo! Non tlovo più il mio lazzo».
Volete sapere cos'ho fatto in risposta al suo urlo belluino, peraltro ignorando cosa fosse il lazzo?
Ho messo in atto la tecnica della tanatosi (poi non dite che non vi insegno parole nuove). La tanatosi è una strategia utilizzata da insetti e piccoli animali - di solito coleotteri e rettili - che comporta l'irrigidimento totale del corpo: in una situazione di minaccia o pericolo si simula uno stato di morte per evitare di essere catturati dal predatore. Perciò ho paralizzato ogni muscolo del corpo, ho rallentato il respiro tipo Houdini quando si faceva rinchiudere in una cassa sott'acqua, e sono rimasta immobile, ad attendere.
Dopo mezzo minuto di urla Mike Delfino è risorto dall'abituale stato comatoso in cui versa e, rilevata l'assenza di segni vitali da parte mia, ha arrancato borbottando fino alla stanza del Pupo, soccorrendolo con prontezza ed efficacia. La mattina dopo la sua faccia sembrava presa dalla Guernica di Picasso, un occhio che gioca a biliardo e l'altro che tiene i punti.
(Io): «Che cos'era, poi, il lazzo?»
(Mike, sbadigliando): «Il biberon che usa per bere l'acqua. Vai a capire. Certo è interessante la metafora del razzo...»
A volte però gli uomini sanno essere molto utili. E fare cortesie inattese Specie se artigiani, tecnici, esperti di settore. Ieri sono andata nel negozio di una grande catena specializzata per acquistare una nuova lavatrice. Individuato il modello, mi sono rivolta all'addetto del reparto, per prenotare la consegna.
(Lui, come colto da momentanea emiparesi): «Vng k:n me»
(Io): «Eh?»
(Lui, bisbigliando): «Venga con me. Qui non posso parlare». 
Ci spostiamo di qualche metro, lui si appoggia a un'asciugatrice con aria finto-casual e mi dice: «Asptt a kmpr:r qsta lvtrc».
(Io): «Eeeeh?»
(Lui). «Sttk:st».
(Io): «Mi scusi ma non la seguo)
(Lui, sussurrando): «Questa da lunedì prossimo verrà venduta sottocosto. Da 319, lei la paga 239. Se aspetta 5 giorni risparmia 80 euro».
(Io, stupefatta): «Beh... che dire, grazie. Sono senza parole. Lei è stato gentilissimo». 
Tecniche di sopravvivenza A questo punto sarei molto curiosa di sapere da voi due cose, 1. Qual è l'ultima cortesia inattesa che vi hanno fatto e 2. Quali sono - se ne avete - le vostre tecniche di sopravvivenza nei momenti più duri, tipo quando il Pupo chiama alle 2.15 di notte. 
 
 

mercoledì 26 settembre 2012

Non riesco più neanche a ridere

Dev'essere così. Per forza
Lo scopo di questo post, a carattere squisitamente scientifico, è scoprire se notate differenze nell'atteggiamento di maschi e femmine quando si tratta di salute.
La Pupa, a 7 anni, ormai è proprio in gamba: se non sta bene ha imparato a languire nel suo letto con garbo e discrezione, in armonioso silenzio, anche di notte. La mattina dopo, semmai, fa un rapido resumé: «Mamma, ho avuto la malattia. Sentivo tutto caldo e tutto freddo e poi un gran dolore fino in fondo alle ossa. Mi si è gonfiata la gola, ho starnutito, ho bevuto un po' d'acqua in bagno e già che c'ero ho fatto anche la pipì. Ora sono un po' stanchina, posso stare a casa oggi?»
Il Pupo, più piccolo e soprattutto maschio, è un disastro. Secondo i suoi parametri un raffreddore equivale a una glaciazione, un mal di pancia come minimo alla deriva dei continenti. Di notte, se appena non si sente bene, esprime stentoreo proclami a intervalli regolari.
Più o meno l'ultima volta è andata così
Ore 2.15: «Caccùno (qualcuno, ndr) deve venile! Ci ho un ploblema!»
(Io, barcollando fuori dalla mia stanza al buio, a tentoni, con i tappi di cera che indosso invano «per non sentire» ancora infilati nelle orecchie, e andando a sbattere vi giuro fortissimo contro la parete di fronte): «Porcocane, adesso chi ha messo qui questo muro?»
(Lui, come se non mi vedesse da 40 giorni) «Mamma? Mamma! Sei tu! Vieni, ci ho un ploblema!»
«Cosa c'è, amorino mio bello? Dillo alla mamma, tesoro amoroso».
«Ci ho mal di pancia! Devo fale la cacca!»
«Adesso, amorino? Sono le 2.15, è notte, sei proprio sicuro?»
(Segue la seduta al gabinetto più lunga della storia)
...
Ore 3.20, circa sei secondi dopo che mi ero riaddormentata: «Papà! Mamma! Dovete venile! Ci ho la tosse!»
(Mike Delfino, che dormendo prono aveva nel frattempo sbavato tutto il cuscino e ora ha una striscia di saliva a lato del volto e sulla tempia sinistra): «Aaaagggrr. Arrivo».
(Io, dopo cinque minuti, visto che i lamenti del Pupo non cessano ma anzi sembrano in aumento, raggiungendoli): «Ma scusate, qual è il problema?»
(Mike Delfino): «Dice che vuole lo sciroppo. Sai se in questa casa per caso abbiamo dello sciroppo?»
...
Ore 4.40: «Caccùno deve venile! Ci ho un ploblema! Ci ho la tosse!»
(Io, a Mike Delfino): «Stavolta non ci vado. Sparami, se ci vado. Che diventi pure rauco a furia di tossire, domani devo andare a Napoli in giornata, adesso ho bisogno dormire mezz'ora altrimenti non sto in piedi. Valuta tu se raggiungerlo».
(Mike Delfino, voltandosi dall'altra parte, un nanosecondo prima di ricominciare a russare): «Aaaagggrr».
In effetti la mattina dopo Il Pupo era diventato rauco a furia di tossire e aveva gli occhi gonfi tipo batrace. Strofinandosi la faccia, ci ha sgridato severo:
«Dov'elano i miei genitoli mentle io piangevo?».
In seguito, durante una sessione di solletico, nel tentativo di farci sentire in colpa:
«Sto così male che non liesco più neanche a lidele (ridere, ndr)».

La domanda è: i vostri piccoli uomini, quando non stanno bene, si comportano come i loro papà? E le femmine, che fanno? Siate generosi, vi prego, nei contributi. Mi piacerebbe capire, se possibile, dove sbagliamo.



venerdì 21 settembre 2012

Post per nulla bimbesco e molto femminile

Dopo il quale potete manifestare solidarietà, o spararmi
Questa mia amica con cui parlavo stamattina le chiama «le Appese».
Definizione di «Appesa» Qualunque ex del vostro attuale compagno torni da un passato, lontano o recente, a inzigarlo, rompendo - a cascata - le scatole pure a voi.
L'Appesa spunta dal nulla, e può manifestarsi in vari modi. È una ex, ma non è mai stata un'amica, e nemmeno una collega del vostro compagno. Quasi mai si fa viva di persona o tenta la telefonata diretta, invasiva e compromettente (senza contare la potenziale umiliazione se lui preme il tasto «ignora»). Più facile un sms: la mia amica ha trovato sul telefono del suo compagno un messaggio in cui l'Appesa proponeva, in cambio di un favore, «un pagamento in natura». Ma così, per i miei gusti, è fin troppo facile, troppo esplicito. L'Appesa professionista preferisce mandare due righe via mail, magari con un oggetto accattivante ed ellittico, sospeso: tipo Mi ritorni in mente o Ma non vorrei che tu
Il vostro compagno, quel caro orsacchiottolone tontolone, è ovviamente attirato dal fascino criptico dell'oggetto della mail. Come resistere alla tentazione di aprirla? Infatti non resiste, e comincia un carteggio con l'Appesa. A questo punto, più d'uno scenario possibile: 1. Restate completamente all'oscuro del carteggio. Peccato che sia uno scenario infrequente, perché il vecchio detto «occhio non vede, cuore non duole» funziona ancora piuttosto bene. 2. Incappate casualmente nel carteggio e v'inferocite. 3. Siete persone empatiche e anche un po' telepatiche. La vostra dea interiore percepisce la presenza dell'Appesa nell'aria. Allora fate un po' di pesca a strascico, buttando lì un: «C'è un'altra?», tentando contemporaneamente di piegare il vostro compagno con lo sguardo come Uri Geller fa con i cucchiaini.
Una volta accertato l'inopportuno orbitare dell'Appesa nel vostro microcosmo emotivo - l'orsacchiottolone tontolone, non abituato a delinquere, crolla quasi subito sotto il fuoco di fila delle vostre spietate domande - una parte di voi vorrebbe nobilmente ignorarLa, ma questa parte è in netta minoranza. Non siete ancora diventate così brave, e dunque non resistete alla tentazione di trapanare diligentemente il vostro compagno, il quale ben presto si stufa. Segue aspra discussione in cui lui rivendica libertà, maturità e parità di diritti; voi gli fate presente che, se di lui potete anche fidarvi, dall'Appesa non comprereste mai un'auto usata.
L'obiettivo dell'Appesa, peraltro, è immediatamente chiaro a tutte le amiche femmine con cui vi siete confidate. L'unico maschio con cui ne avete parlato dice che invece capisce perfettamente le ragioni del vostro compagno, il che, considerato che l'Appesa porta la quarta abbondante di reggiseno e voi una seconda insolentita dalle maternità, non fa che accrescere il vostro nervosismo.
Il vostro compagno insiste nello sgranare gli occhi e nel non trovare niente di male in un potenziale incontro con l'Appesa, con cui peraltro si è già messo d'accordo per un pranzo in centro al più presto. Perché, ripete l'orsacchiottolone tontolone, l'Appesa che non si faceva viva da mesi - anzi, da anni! - dovrebbe ora all'improvviso provare un interesse per me? Forse perché l'hai scaricata da un giorno all'altro quando hai conosciuto me. E se non te ne fossi accorto, l'Appesa si fa viva ciclicamente, a intervalli regolari: probabilmente quando «rompe» con il fidanzato di turno, e allora viene a far la ronda da te, anzi da noi. Per tastare il terreno, capire che aria tira, vedere se c'è margine.
Una parte di voi sogna di incontrarla e di trasformarsi in Chuck Norris. A quel punto - riflettete con autocompiacimento un po' infantile - non le uscirebbero più di bocca stupidi titoli di canzoni, ma unicamente il vostro pugno.

giovedì 13 settembre 2012

Quando sarò grande

Purché Tu non me la faccia diventare così
(Pupa) «Mamma, da grande voglio avere i capelli come i tuoi e la voce come la tua. Voglio essere edentica a te. Sei bellissima. Stupenda. Perfetta».
Quando la Pupa mi fa queste dichiarazioni una parte di me è orgogliosa e felice, un'altra la trova francamente eccessiva. Per dire: non ricordo di aver mai detto a mia madre che volevo avere i capelli come i suoi (tutto può essere - magari invece l'ho fatto).
Purtuttavia durante una trasferta Milano-Napoli, a/r in treno in giornata giusto per non farci mancare nulla, a Bologna mi si siede davanti - è ancora davanti a me nell'esatto istante in cui scrivo questo post - una eeeeh, una cosa, cioè una specie, una... non saprei come dire, forse se proprio dovessi paragonarla a qualcuno direi che sembra la versione femminile di Pete Doherty, avete presente quello che stava con Kate Moss e forse per un po' di tempo anche con Amy Winehouse e nonostante tutta la droga che si è iniettato ancora campa e diffonde per il mondo Grandi Verità; dunque questa cosa, cioè questa ragazza dai capelli scuri che mi è seduta davanti, meno tossica di Pete Doherty, lo ricorda però nel look; tira ogni tanto su col naso (ehm) e porta pure un cappello nero da uomo tipo bombetta, che ora ha poggiato davanti a sé.
Se non che al vostro ritratto mentale Ora dovete aggiungere un iPhone con la cover rosa a forma di coniglietta di PlayBoy che la ragazza trova «troppo fico» e con cui continua a giocherellare; due tatuaggi sulle dita delle mani con la scritta "Give" a sinistra e "Take" a destra, una lettera per ogni dito esclusi i pollici; una giacca di pelle rossa troppo grande; una cosa blu avvolta attorno al collo che lei chiama «capuccio»; una minigonna di pelle marrone troppo stretta, su gambe non perfettamente depilate e un po' borderline tipo «volevo essere una fotomodella ma poi non ci sono riuscita»; anfibi slacciati che vi giuro ha appena definito «stracomodi per dormire»; unghie laccate marrone scuro e soprattutto un profumo dolciastro fortissimo e insopportabile.
Quel che più m'infastidisce della Padrona di Coniglietta Tra l'altro, a giudicare dalle rughette qua e là, avrà di sicuro più di trent'anni. È accompagnata da un assistente/manager che per la prima mezz'ora di viaggio, fin quando cioè cominciano le gallerie e le conversazioni al cellulare diventano impossibili, s'impegna assai a «chiudere date» al telefono, per lei. A un certo punto della conversazione intuisco che potrebbe essere una deejay. Appartiene al tipo umano a cui piace molto prendere in giro le persone che la circondano. Fa commenti ad alta voce sui vicini di posto; io che le sto davanti rappresento assieme enigma e sfida, non riesce a inquadrarmi, però mi sbircia, bisbiglia e ridacchia oscure freddure all'orecchio dell'assistente, che sghignazza di rimando. A un certo punto per attirare l'attenzione fa un rutto. Partono risatine. L'assistente si finge schifato. Io valuto l'espressione sonora paragonandola ai boati d'abitudine prodotti dai Pupi: l'exploit della Padrona di Coniglietta, in confronto, è un impercettibile bisbiglio.
Potrei alzare un sopracciglio, sollevare un angolo della bocca, abbozzare complicità. Poi opto per l'indifferenza totale. Nel frattempo davanti a me scorrono senza soluzione di continuità discorsi del seguente tenore:
(Lui, cioè l'assistente): «Ho 200 canali e mi costa meno di 10 euro al mese. Diciamo 9 euro, una vera bazza».
(Lei): «Hai anche, come cazzo si chiama, Discovery Channel e i Simpson tutto il giorno? Troppo fico».
(Lui): «Cioè mi hanno proposto questa cosa da maggio a ottobre, hotel 5 stelle a St. Moritz, ti danno vitto e alloggio e 2000 euro al mese. Certo sei inchiodato lassù, però poi non è che ti chiedano tante serate».
(Lei): «Tu l'unica che mi dovevi fissare non me l'hai fissata. Questa serata è l'evento top dell'anno e tu non sei riuscito a fissarmela».
(Lui): «Mi ha chiamato quella ragazza di colore che hai sentito al B Club, quella un po' scema che cantava tutto il tempo Olelele, olelele, olelele. Mi ha chiesto se andavi a suonare al suo compleanno. Le ho chiesto 2000 euro».
(Lei): «E che ti ha detto?»
(Lui): «Più sentita. Che zoccola».
Bologna-Roma sola andata Per due ore, salvo brevissima pausa-pisolino, i due chiacchierano ininterrottamente o si mandano sms a vicenda, ridendo di continuo perché è Veramente Molto Buffo scambiarti messaggi con qualcuno che se ne sta seduto a cinquanta centimetri da te. Ogni tanto lui parla al telefono con una donna che chiama «amore» ma poi piazza casualmente la mano sulla coscia della Padrona di Coniglietta. Pure la cover dell'iPhone, di fatto, è oggetto di discussione.
(Lei, dominante): «A quei due del locale possiamo pure regalargli una bella cover dell'iPhone».
(Lui, sottomesso): «E se poi non gli piace? E se poi già ce l'hanno?»
(Lei, risolutiva): «È sempre un bel gadget da 40 euro. Al limite a Natale la regalano a qualcun altro».
A un certo punto, a lei suona il telefono. «Nooo, sei tu? Che sbatti! Guarda non sai lo sbattimento che dobbiamo fare nel weekend. Lavoriamo sabato sera, poi alle 6 dalla disco andiamo direttamente a Bergamo e via! Alle 8 siamo già sull'aereo per Fiumicino. Guarda, è uno sbatti assurdo!».
Per fortuna, a Roma L'ineffabile coppia scende. Accanto a me resta un tenero signore americano che, dizionario alla mano, ripassa ad alta voce l'italiano che, ne è convinto, lo aiuterà a sopravvivere a Napoli. «Schiusa. Schiusa. Schiusate. Può indikòarmi la via per la pizeriaah?».
Vi capita mai di immaginare come saranno i vostri figli da grandi? Di riflettere sulle aspettative, di sperare qualcosa per loro? Io per esempio da questo momento in poi pregherò con costanza che la Pupa  faccia quel che vuole della sua vita, tranne diventare come la tizia che mi è stata seduta davanti per tutto questo tempo.

mercoledì 5 settembre 2012

I bambini sono stati ritrovati intatti

Vantaggi e svantaggi dei campus sportivi
Non sapendo bene che fare dei Pupi nella settimana di interregno che separa il rientro dalle vacanze alla riapertura delle scuole, abbiamo pensato di iscriverli a un campus sportivo che costa una fucilata che ci hanno descritto come molto ben organizzato, per evitare che passassero troppo tempo a casa, con la tata torpida e lenta non proprio brillante. Lunedì, essendo io in trasferta a Parigi, è toccato a Mike Delfino portarceli.
(Io, al telefono): «Allora, come è andata stamattina?»
(Mike): «Non so, ho avuto la sensazione di abbandonarli a Guantanamo».
«Perché?»
«Erano lì, dietro la rete che circonda il campo di calcio, l'aria smarrita e nessuno che se li filava di pezza, seduti in cerchio a gambe incrociate, lo sguardo smarrito. Ciascuno con un braccialettino colorato al polso che mi ha fatto venire in mente i detenuti agli arresti domiciliari».
«È bello parlare con te, Mike, soprattutto a distanza di 1.000 km. Ora perché non provi a dirmi qualcosa di rassicurante?».
«Pensi che oggi pomeriggio possiamo ritirarli in anticipo?»
Sono rimasta tutto il giorno con il cellulare incollato all'orecchio, temendo di ricevere una chiamata con ferali notizie sul destino dei miei figli. A un certo punto ho chiamato mia madre:
«Ciao, puoi andare a prendere i bambini alle 17.15? Prima non li rilasciano. In questo modo puoi mandarmi subito un sms in cui mi rassicuri e mi dici che stanno bene. Decollo alle 17.25».
(Ore 17.23, dall'aereo): «Mamma, e allora? Non mi è arrivato nessun messaggio».
(Lei): «Mi sono persa sul cavalcavia. Del resto è la prima volta che vengo in questo posto».
(Vicina ansiosa, interrompendo): «Signora, deve spegnere subito il cellulare. Steward, questa signora ha il telefono acceso».
Non sempre bere è la soluzione Ma a volte aiuta. Irritata con la mia vicina e in preda all'ansia - Come staranno i miei figli? Saranno sopravvissuti? Perché mia madre si perde sempre? - ho ordinato del vino bianco e delle olive. Per la precisione: 30 grammi di olive e 375 ml di vino, capaci di indurre nel fruitore (in questo caso, io), se non alcolista, uno stato di piacevole torpore e ottundimento (cui segue mal di testa feroce).
Alla fine è andato tutto bene I bambini sono stati ritrovati intatti. Hanno dichiarato di essersi divertiti. Nel dettaglio:
(Pupo): «Ho giocato a calcio, calcetto, caltoni animati, giochi».
 (Io): «Quali giochi?»
(Pupo): «Eeeh. Sono mimmo mommo. Ahahahahah».
La conversazione con la Pupa, invece È stata gratificante, oserei dire appagante.
(Pupa): «Sono andata in piscina, poi ho giocato a sabbia, poi ho giocato ad aria, e poi a giochi».
(Io): «Anche tu hai giocato a "giochi". Fantastico. Cosa sono invece sabbia e aria?»
(Pupa, guardandomi come se fossi demente): «Sabbia è una buca di sabbia. Aria è una cosa che spara l'aria. Ci abbiamo messo un foglio sopra e quello è volato via. Allora ci abbiamo messo una maglietta ed è volata via anche lei. Poi una felpa. Poi volevamo metterci un bambino di quasi quattro anni, ma Oleg ci ha detto che non potevamo».
«Chi è Oleg?»
«Un abbattitore».
«Vuoi dire un educatore?»
«Ecco».
«Sono bravi i vostri educatori?»
«Abbastanza. Tranne al mattino».
«In che senso?»
«Al mattino, quando arriviamo, ci lasciano lì un po' confusi».
Promesse non mantenute Secondo il depliant informativo, al campus i bambini avrebbero dovuto fare badminton, nuoto, calcio, beach volley, hockey, danza e non so quanti altri sport (tra i quali non erano elencati "aria", "sabbia", "giochi" e "caltoni animati"). Non credo che l'anno prossimo li iscriverò ancora. Avete avuto esperienze simili? E voi, come vi siete organizzati con i vostri figli?




mercoledì 29 agosto 2012

Madeleine di fine vacanze

Non c'è come tentare di parlare con tuo figlio al telefono
Nell'attesa che Baracca (la Pupa) e Burattini (il Pupo) tornino dal mare dopo nove settimane di vacanza, io e Mike Delfino viviamo le ultime ore di relativa spensieratezza e folleggiamo blandamente in città. Dove per «folleggiare» si intende alzarsi tardissimo (anche alle nove del mattino!), guardare tre puntate di seguito della serie tv Mentalist (conoscete?), ingannare il tempo dipingendo le pareti di casa di vari colori (es. verde tavolo da biliardo, carta da zucchero, turchese), farsi sfottere il giorno dopo dai colleghi in ufficio («È tempera, quella che hai sparsa tra i capelli e le unghie dei piedi?»)
Il vuoto legato alla mancanza dei Pupi è del resto mitigato dai weekend di costante pendolarismo tra Milano e la Liguria. Roba che fiaccherebbe anche un cavallo: in settimana si sgobba, nel fine settimana si trotta su e giù per la spiaggia all'inseguimento dei nani, senza contare che il viaggio in sé prevede a. treni superaffollati oppure b. code in autostrada o ancora c. partenze all'alba del lunedì mattina per essere al lavoro in tempo.
In ogni caso, ciascuno di noi elabora la nostalgia come può. Mike Delfino sostiene la teoria secondo cui «i bambini è meglio non sentirli proprio, per non intristirsi e non intristire loro». Io invece li chiamo tutti i giorni.
Storie di insuccesso I Pupi, del resto, non vogliono quasi mai venire al telefono. Se lo fanno, sono bruschi e sbrigativi. Qualche esempio:
(Pupo): «Mamma, tu sei bella, pelò non ti voglio pallale» (clic).
Oppure: «Mamma, sei blutta e devi andale a vivele con un'altla famiglia. Ti voglio bene» (clic).
Oppure: «Mamma, sono mimmo mommo. Ahahahah!» (clic).
(Pupa): «Ciao mamma, da grande voglio avere la tua stessa voce e i tuoi stessi capelli. Ti voglio un bene come una carezza. Ciao, devo andare» (clic).
Oppure: «Ciao mamma, ti ricordi la mia bambola Paolona, quella che aveva paura di tutto, persino del risotto? Ora non ha più paura né del risotto né dei leoni. Però ha paura delle eruzioni dell'Etna. Ciao, devo andare» (clic).
Ogni telefonata dura in media 7/8 secondi e non prevede alcun intervento da parte mia, né interazione. Del resto, neanche con mia mamma.
(Io): «Ciao, mamma, tutto bene?»
(Lei): «Bene, bene, tu?»
«Bene. Cosa avete fatto oggi? Cos'hanno detto i Pupi?»
«Non me lo ricordo. Ogni tanto mi dico: "Questa devo proprio scrivermela" e poi hop! mi passa di mente».
«Peccato. Vabbé, mi passi il Pupo?»
Ammesso che vengano a parlarmi, la loro tecnica è: dirmi una frase a caso (massimo due) e poi attaccare. Quando va male, invece, non riesco neanche a parlarci. Allora mi accontento di sentire che aria tira sullo sfondo, mentre parlo con mia madre.
(Io): «Ciao mamma, tutto bene?»
(Lei): «Sì, bene. Mettilo dentro».
(Io): «Cosa devo metter dentro?»
(Lei): «Ce l'ho con tuo figlio. Ho detto mettilo dentro!».
(Io): «Scusa?»
(Lei): «Adesso metti subito il pisello dentro il costume. Non fare l'esibizionista. Paola, tuo figlio è un porco».
(Io): «Lo so. Si è denudato di nuovo?»
(Lei): «Stavolta il costume ce l'ha: ha tirato fuori solo il pisello. Ho detto mettilo dentro, non mi interessa se ha caldo».
Il che mi porta a chiedervi Che rapporto hanno i vostri figli col telefono? Vi parlano volentieri? Da che età sono in grado di sostenere conversazioni, diciamo, non totalmente surreali? A volte mi diverto a immaginare cosa succederebbe se i Pupi mantenessero quest'atteggiamento neghittoso anche durante la loro vita adulta. Anni fa ho conosciuto un tizio che detestava il telefono. Non si è mai comprato un cellulare, preferisce scrivere, meglio se lettere di carta e non email. Non ha molti amici, però.

lunedì 20 agosto 2012

Quel che resta della Danimarca (e di me)

Crisi di coscienza
La realtà è che sono partita per le vacanze stanca, svuotata e senza la benché minima voglia di scrivere una riga, da nessuna parte. Ecco spiegata la mia assenza dal blog. Nel frattempo ho avuto anche modo di chiedermi: ma poi, fa davvero la differenza? Se vado avanti oppure no, intendo. In fondo, a chi importa? Se non leggete più il mio blog, leggerete quello di qualcun altro. In fondo, siamo tutti sostituibili. In fondo, fa caldissimo. Dopo la terza ripetizione, l'espressione «in fondo» comincia già a sembrarmi detestabile. In fondo, piuttosto che scrivere potrei anche decidere di fare un solitario.
Poi arriva il messaggio di questa misteriosa Annalisa (leggetelo: è l'ultimo commento al post precedente a questo) che dice più o meno: «Ci manchi. Spero non ti sia successo nulla, e che tu sia stata semplicemente in vacanza». E mi torna un pochino la voglia di scrivere, e di risponderle: in fondo, è andata proprio così.
Piccolo resumé delle vacanze in Danimarca Non mi ricordo se ve l'ho detto: siamo andati ad Aarhus con uno scambio di casa. Ne facciamo ormai da un anno: prima di quest'estate siamo stati a Roma, e a Venezia. A giugno, per uno scambio non simultaneo, abbiamo ospitato una famiglia di Lisbona (mentre noi eravamo in Abruzzo); noi andremo in Portogallo a ottobre (sembra un meccanismo complesso ma è semplicissimo).
Il nostro ultimo scambio casa in dieci punti (vantaggi e svantaggi)
1. Si risparmia un sacco - ovvio.
2. Si può scambiare pure l'auto - noi l'abbiamo fatto - risparmiando altri soldi ed evitando di perdere tempo prezioso al car-rental dell'aeroporto. In cambio della nostra gloriosa Xsara Picasso, neotagliandata, 70.000 km e carrozzeria perfetta abbiamo avuto una vecchia macchina da pappone serbo, pianale bassissimo, 260.000 chilometri, consumi che lévati, quarta marcia che faticava a ingranare. A parte ciò, molto solida.
3. Nella casa danese ci sono cinque camere da letto e un solo bagno, che in compenso misura 27 metri quadrati. Il pavimento è piacevolmente riscaldato, il che a certe latitudini aiuta. Però i danesi hanno inspiegabilmente coperto la vasca da bagno con un pannello in compensato, sul quale è poggiato un materasso, a sua volta ingentilito da un copriletto. Prima che il capofamiglia, messo alle strette, mi confessi via mail che il materasso si può spostare, passiamo una settimana a fare solo docce al buio, rapide e scomode: se la pressione dell'acqua scende sotto un certo numero di atmosfere la cornetta ti cade in testa. In più la doccia è situata in un angolo totalmente privo di illuminazione e la tenda è di quelle che al minimo movimento ti si appiccicano addosso, avvolgendoti come un viscido domopak.
4. Non si capisce perché, ma i danesi hanno un'asciugatrice che anziché asciugare gli abiti, li ghigliottina.
5. I danesi hanno un pozzetto congelatore nascosto nel capanno degli attrezzi. Dentro il pozzetto congelatore ci sono un centinaio di finti-gelati tipo Gran Soleil, però danesi quindi di default più cattivi. Poi, mezzo sacchettino di gamberetti e quel che sembra un agglomerato di aringhe surgelate.
6. In giardino i danesi hanno dei conigli da compagnia. Si chiamano così ma in realtà sono creature insulse e inamovibili. Prima della partenza riceviamo istruzioni precise: nutrirli e dargli da bere un giorno sì e un giorno no. In realtà fa più caldo del normale (punte di 22 gradi, wow!) e presto ci accorgiamo che l'acqua va cambiata molto più spesso. Anche due volte al giorno. I conigli intuiscono la nostra incompetenza e cominciano, oltre che a bere, a spazzolare crocchette a ritmi indiavolati. Dunque aumentiamo la dose. L'ultimo giorno afferro il sacchetto del cibo ma ne balza fuori un topino di campagna. Faccio un urletto isterico da Priscilla, regina del deserto e cado chiappe all'aria sull'unico metro quadrato in cemento di tutto il giardino.
7. Cose fichissime da copiare dai danesi: a) il pianoforte - ne avevano uno in casa e dopo anni di astinenza mi sono rimessa a suonarlo. b) Il calcio balilla - piantato nel mezzo del soggiorno fregandosene dell'estetica; è divertentissimo e ho stracciato innumerevoli volte Mike Delfino il quale si giustificava dicendo che è mancino. c) i giochi per i bambini: c'erano le altalene, il salterello (tappeto elastico) e pure la buca di sabbia per fare i castelli. Però il Pupo ha detto che non era sabbia ma mergilla (= argilla in lingua Pupica). Credo che sia perché lassù il sole non scalda, e tutto è sempre umido.
8. Cose che non ci aspettavamo: i nostri vicini ci hanno riferito che in piscina i danesi si sono comportati da Unni, occupandola per molte ore al giorno e usando maschera, pinne e boccaglio. Del resto da loro d'estate ci sono tra i 16 e i 20 gradi - è comprensibile che, una volta qui, si scatenino. 
9. Danni: loro ci hanno sfasciato uno scopino pulisci-gabinetto. Noi, un gioco che riproduce su scala ridotta una trivellatrice (poi parzialmente riparato da Mike Delfino).
10. Cose da non invidiare ai danesi: come molti nordici, sono disordinatissimi e super-sciatti. Eviterò di parlare degli standard igienici della loro casa. Vi dico solo che da noi hanno dimenticato, tra l'altro: a) una patata bollita nella scarpiera (ritrovata per caso. Marcia e piena di moschini. Pensate che Mike Delfino dava la colpa della puzza ai miei sandali!). b) delle pinne da uomo, nuove. c) 4 cuffie da piscina, nuove. d) un ventilatore, nuovo. e) creme solari, assorbenti interni ed esterni (nuovi), spray antizanzare. f) 3 magliette da bambina, nuove con ancora l'etichetta, che andranno benissimo alla Pupa. g) un paio di ciabatte Crocs, molto usate (le ho buttate) h) due bottiglie di vino buonissimo. Pensavamo fosse un regalo e invece i danesi ci hanno lasciato un biglietto: «Queste ve le lasciamo perché non ci stanno in valigia». Che tipi. i) un pacchetto di M&M's in macchina (liquefatte).
Voi che ne pensate dello scambio casa? L'avete mai fatto? Lo fareste? Sotto, un piccolo reportage fotografico che spero renda un po' l'idea (l'autrice degli scatti è la mia amica Franci, che con i suoi Pupi ci ha raggiunto in Danimarca).

Il calcio balilla in mezzo al soggiorno.
L'arcobaleno sopra Aarhus (una passeggiata tra le nuvole)



Uno di quei nomi che si ricordano facilmente.

Tipico paesaggio danese.

Il mare, finalmente.


Mike & Pupo.


Chiappini

Il famoso «salterello»


La casa da fuori






martedì 24 luglio 2012

Intercettazioni e altre catastrofi

Ci sono periodi dell'anno in cui le cose vanno per loro natura più lente, oppure
Oppure è il mio cervello a essersi definitivamente inceppato. Registro input diversi in modo casuale. Li assorbo a occhi socchiusi, scrutando criptica l'orizzonte. Tendo a non reagire, anche quando dovrei.
(Un collega): «Puoi scrivere subito una notizia sulla strage di Batman? La facciamo fotografica. Però sii lombrosiana, mi raccomando».
(Io): «Uh».
(Sempre lui, un'ora dopo): «Hai scritto?»
(Io): «No, così nel vuoto non me la sento. Dammi l'impaginato. Non mi far scrivere fuori dall'impaginato che non sono capace».
«Neanche se ti dico la lunghezza esatta? Sei giornalista professionista da quanto, dal 1960?»
«Spiritoso. È che non ce la faccio. Cioè non me la sento. Devo vedere che espressione ha il tipo, devo ispirarmi».
(Lui, un'ora dopo): «Ehi, lascia perdere. Nel frattempo la notizia l'ha scritta la collega X».
«Uh. Devo sentirmi in colpa?»
La realtà è che ero distratta. Stavo pensando a una conversazione captata per caso sul filobus
Donna sudamericana, in buon italiano, parlando con un'amica: «È tanto provinciale, povera ragazza. Figurati che lui, il suo fidanzato, ogni tanto quando è arrabbiato la piglia a calci sul sedere. Lei non reagisce perché crede che sia normale, poveretta, viene dalla campagna».
«E non gli dice niente, a quel maldido
«Dire, non dice proprio niente. Però gli mette di nascosto il laxante nel caffè. Come si chiama il laxante in italiano? Quello che ti fa andare tante volte in bagno». 
E non è ancora finita (questa è impagabile) 
 (La mia amica, al telefono) «Guarda, ieri ho combinato un disastro. Non solo ho sbagliato orario...»
Ragazza B: «Come, hai sbagliato orario?»
«Massì, sai che ero salita a Milano per quel matrimonio. Ho lasciato M. e le bambine al mare, a Ladispoli. Avevo prenotato il ritorno a Roma per il lunedì mattina, tariffa scontatissima, partenza ore 7.19».
«Fin qui tutto bene, mi pare».
«Sì ma poi non so per quale motivo nel corso della notte mi sono progressivamente convinta di dover prendere il 6.19. Allora per andare alla stazione ho dovuto prendere il taxi perché la metropolitana a quell'ora non va, quindi aggiungi 13 euro alla tariffa scontatissima».
«Che seccatura».
«E questo non è niente. Salgo sul treno e dopo un po' passa il controllore. "Guardi, signorina, che con questo codice di prenotazione non trovo nulla". E io: "Maccome, ma non è possibile", faccio l'indignata e chiedo a un signore col computer di farmi controllare su internet. Vien fuori che ero sul treno sbagliato. Come ti ho detto, avrei dovuto partire un'ora dopo».
«E lui?»
«Mosso a compassione non mi ha fatto la multa ma solo l'integrazione di tariffa. 77 euro in più. Mi consolo pensando: "Almeno vedrò le bambine un'ora prima del previsto"».
«Fantastico. Altro che tariffa scontatissima».
«Ma il peggio deve ancora venire».
«Non ci credo».
«E invece sì. Arriviamo a Roma Tiburtina e tra me e me penso: scendo a Ostiense, la fermata successiva, così sono più comoda per il mare. Peccato che quel treno, a Ostiense, non fermasse».
«E dunque?»
«Ho proseguito per Napoli».
«E il controllore?»
«Quando gli ho spiegato cos'era successo ha voluto chiamare il responsabile. Ha voluto che mi vedesse in faccia, che vedesse che esistevo davvero».
«Chissà che risate si son fatti».
«Però la tratta Roma-Napoli me l'hanno offerta. Cortesia di Italo Treno, mi hanno spiegato».
«Che carini. E il ritorno?»
«No, quello ho dovuto pagarlo. Altri 43 euro».
«Ma quando sei arrivata a Roma, alla fine?»
«Alle tre del pomeriggio. Ci ho messo nove ore. È un viaggio, te l'assicuro, che non dimenticherò. Puoi parlarne sul tuo blog per piacere? Mi piacerebbe sapere se al mondo girano a piede libero altri storditi come me».


martedì 17 luglio 2012

Bambini e incubi notturni

Con contorno di cani, e non solo
«Porco cazzo», una voce squillante squarcia l'oscurità. Dove sono? Chi sta parlando? Che ora è? Ho un lato del corpo tutto sudato e l'altro gelido. Mi muovo con cautela, a tentoni. Cioè, muovo la parte sinistra del corpo; la destra ha perso sensibilità, soprattutto il braccio. Cerco una superficie solida contro cui sbatterlo per rianimarlo. Ecco. È un muro. E questa... è la testa di mia figlia, che dorme parzialmente a cavalcioni su di me, come se fossi un pupazzo o un cuscino. Provo a sfilarmi senza svegliarla. Borbotta.
«Porco cazzo», ripete la voce squillante da un punto imprecisato della stanza. «Porco cazzo, mi sono di nuovo magnato la maglietta». Esse e zeta sibilanti, svarioni lessicali. Sorrido. Può essere solo il Pupo.
Era una notte buia e tempestosa quando, poche ore fa, mi sono trasferita qui a dormire. Siamo nella casa di vacanza, nelle colline dell'entroterra ligure, dove i Pupi risiedono assieme ai nonni dall'inizio di luglio. Una fidata baby sitter li accompagna al mare e al pomeriggio, dopo il pisolino, li porta in gita in mezzo ai boschi. «Abbiamo visto i cavalli, le tacchinelle, un pulcino, un ragno velenoso e i vermi pallottola». «Pupi, ma non è pericoloso?». «No, mamma, la baby sitter conosce tutte le strade. Sai che ha ventuno anni meno di te?». «Sì, Pupa, me l'hai già detto la settimana scorsa».
Andiamoci assieme, allora, ho proposto io, che vengo qui da quando avevo l'età della baby sitter e in questi boschi non ci sono mai stata. Ho messo ai Pupi i sandali giusti (io no. Io avevo le infradito, ma pazienza) e siamo partiti. Quattro, cinque, sei curve, il bosco a tratti si stringe sopra di noi un po' come succede nel mago di Oz. Da lontano, l'abbaiare dei cani. «Pupa, avete incontrato dei cani le altre volte?». «Sì, ma sono in gabbia». L'abbaiare si fa più vicino. Dietro una curva spunta un botolo, l'aria incerta. Ringhia. Sembra arrabbiato. Le manine dei Pupi mi stringono forte. Poi ecco un altro cane, appena più grande del primo. Anche lui abbaia. I Pupi sbiellano.
Fatico per non mettermi a correre mentre giro i tacchi trascinandomi dietro i Pupi. «Torniamo a casa». Loro piangono per lo spavento, dopo qualche metro il Pupo mi salta letteralmente in braccio e mi stringe fortissimo. Il cuore gli batte all'impazzata. Che tenerezza. Tento di mantenere un contegno mentre li rassicuro: «Bambini, quei cani erano più spaventati di voi. Non ci avrebbero fatto nulla». «E allora perché abbaiavano?» chiede la Pupa, analitica. «E infatti io li ho cacciati col bastone pecché io sono Ben Ten!» aggiunge il Pupo, smargiasso e mistificatore. «No Pupo, tu non hai cacciato nessuno. Hai pianto dalla paura e ti sei messo a urlare».
Più tardi, verso l'una di notte, il Pupo strilla. Ha un incubo. C'entrano i cani. Lo calmo, lo coccolo e poi decido di restare nella stanza in cui dormono lui (nel lettino) e sua sorella (in un letto matrimoniale). Ecco spiegato il fatto che il mattino successivo sono un po' sudata e un po' gelida: la Pupa mi ha rubato il lenzuolo e contemporaneamente si è messa a dormirmi addosso. Quanto al Pupo, dorme ancora con il pannolino e stanotte agitandosi deve aver fatto troppa pipì. E questo spiega la maglietta magnata. E il porco cazzo? Trattengo le risate, devo sapere. «Pupo, dove hai imparato questa curiosa nonché inopportuna espressione? A casa certamente no». «A scuola, mamma». «Ma non ci vai da un mese». «Però me la sono ricordata. Sono stato bravo, mamma?».

P.s. Cerco conforto. Anche i bambini di vostra conoscenza dicono parolacce? Fanno incubi? Se la fanno sotto alla vista dei cani? Voi come reagite?



giovedì 12 luglio 2012

Conversazioni surreali/1

Politically (un)correct
Mi piacerebbe inaugurare una rubrica intitolata "Conversazioni surreali", possibilmente con il vostro aiuto. Di seguito qualche esempio:
Lo scorso weekend ero a Capri per lavoro. Qualcuno dirà: c'è di peggio, per esempio lavorare. Appunto, stavo lavorando. Sì, vabbè. Comunque a Capri non c'ero mai stata prima e posso dirvi che è bella ma anche piena di gente assurda. Tipo una coppia di amiche sedute a pranzo al tavolo accanto al mio, una sulla cinquantina forse di origine tedesca, l'altra sulla settantina, lo sguardo vitreo e l'espressione fissa di chi ha fatto qualche lifting di troppo:
(Carampana 1) "Zai, mio marito quando andiamo a Parigi vuole ztare sempre a Champs Elysées. Sembra che a Parigi non ci sia nient'altro. Costa zacco di soldi ma ze non siamo a Champs Elysées lui piuttosto non parte".
(Carampana 2) "Eh, ma ha ragione. Parigi guarda si è molto molto rovinata. Se sbagli zona è la fine".
"Poi le parigine sono molto molto attente al veztire. Qui in Italia siamo più rilazzate, forse troppo".
"Oggi tanto vale non buttare tanti soldi per le firme. Le firme sono molto molto scadute. Meglio un abito originale, particolare".
"A trovarlo. Tu sei brava perché hai un tuo ztile molto molto... tuo".
"Sai, ho imparato a mie spese. Hai presente quel vestito maculato della Blumarine che avevo in spiaggia l'altro giorno. Sai che l'ho pagato 1280 euro. Una sera vado al circolo del Golf e c'era una che ce l'aveva addosso. Identico. E se quella sera l'avessi messo anch'io?
"Sarebbe ztato dizastro".
Per converso, l'altra settimana ho trascorso ore e ore in un ufficio di Equitalia - a più riprese - per cercare di farmi annullare una cartella esattoriale. Ogni volta mancava qualcosa. Alla fine l'impiegato allo sportello ha commesso un errore formale per cui, di fatto, ho avuto automaticamente ragione. Intendiamoci: io sapevo di avere ragione. Ma, per un verso o per l'altro, i documenti da me prodotti non bastavano mai. Non so se avete mai avuto esperienze in un posto simile - spero di no - ma è quanto di più simile a un girone dantesco io abbia mai conosciuto. Che poi per carità, la cifra da me dovuta (secondo loro) era "ridicola": 300 euro o giù di lì. E in fondo da Equitalia ci sono dovuta tornare solo tre volte (più una volta dai Vigili, e una volta in Prefettura). Ma ho visto gente messa molto peggio di me, come un signore disperato che a un certo punto ha sbottato: "Mi chiedete 70.000 euro. Ma se ho dovuto chiudere l'impresa, non ho i soldi per pagare i dipendenti né per mantenere la mia famiglia, mi spiega come faccio a darveli?"
(Impiegato dall'altra parte, con sorriso di plastica) "Mi dispiace signore, ma la cifra è questa. Però può rateizzarla".
"Posso rateizzarla in 300 anni?"
I bambini dal canto loro sono al mare in Liguria e se la passano benissimo, accuditi dai nonni e dalla tata. La Pupa cresce impudente e sfrontata, come è giusto che sia. L'altro giorno, in macchina diretti verso la spiaggia, di fronte alla tata:
"Mamma, ma lo sai che tu hai VENTUNO anni più della baby sitter?"
Il Pupo è l'adorabile porco che ormai avete imparato a conoscere. Con regolarità, tra i lindi ombrelloni blu dello stabilimento, si passa le mani in testa,  tra i biondi ricci salmastri e pieni di sabbia, poi prende a grattarsi furiosamente e declama entusiasta, a volume altissimo, con l'irresistibile esse sibilante: "Lo sai, mamma" (o "nonna", ndr), "dico, lo sai che mi sono tornati i pidocchi?". Ogni volta, anche in un'affollata domenica di luglio, all'improvviso attorno a lui si crea il vuoto.

Ps: Se volete contribuire alla mia raccolta di stralci di conversazione, ve ne sarò grata.

martedì 3 luglio 2012

In fondo non esiste maschio che non sia piacione

Paparazzi a Oh-No
Post allegro e leggero, per dire che le vacanze servono eccome. Anche se di una settimana sola. Per dire, la mattina prima di partire per Oh-No ero talmente stanca che ho cercato di farmi il caffè con il biberon. Al mare ci siamo divertiti, riposati, amati, la Pupa ha sconfitto la varicella e il Pupo ha stretto nuove amicizie. Premessa: dovete sapere che a Milano, prima della fine dell'asilo, si era sposato con una sua coetanea di nome Ada, una deliziosa biondina dagli occhi azzurri (rito officiato con tutti i crismi dalla Pupa) e ancora oggi, se tu gli chiedi «Chi è Ada?», lui ti risponde tutto serio «La mia sposa». Dio benedica quel bambino e la sua esse sibilante.
Siccome qualcuno mi ha detto «Ho riconosciuto Oh-No, è il paesino da cui Wonderland ci manda i suoi bei reportage», rispondo che sì, è vero, è proprio così. Lei forse lo scrive senza il trattino ma a me piace di più con. E dunque, mi azzardo a entrare in competizione con lei (in realtà siamo già in competizione privata su Facebook, dove stiamo postando le foto di quel che resta del nostro ombelico dopo la gravidanza) e pubblico anch'io un accattivante servizio fotografico.
Spiacerà forse alla mamma di Mike Delfino apprendere che suo nipote, a poche ore dall'arrivo a Oh-No, già s'infrattava con una bellezza dall'aria esotica da cui è rimasto inseparabile per l'intera settimana. Purtroppo per lui i paparazzi sono in agguato ovunque, anche a Oh-No, e credo che la photogallery qui sotto parli da sola.
Ho solo una domanda: voi, il primo amore, ve lo ricordate? Il mio risale alla terza elementare. Si chiamava C., e pochi anni dopo ho scoperto che era gay. Ricordo che non era nella mia classe, e che mi scriveva molti bigliettini. La Pupa, 7 anni, ancora non si è fidanzata con nessuno. Il Pupo, che ne ha 3 e mezzo, mi sembra un po' precoce... o no? (Oh-No!)


I due amanti clandestini tra le piante.

Momenti di intimità a Oh-No.
Il Pupo ha il sospetto di essere nel mirino dei fotografi.


Passeggiata romantica.
Discussione su dove passare la serata.


Lei si allontana e lo invita a raggiungerla.
Lui, dapprima incerto, decide di seguirla.
Lui si accorge dei paparazzi e li maledice.