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domenica 25 gennaio 2015

Le cose che non capisco non sono tutte belle

Every breath you take
Per esempio non capisco perché Costanza Miriano, scrittrice e blogger cattolica&oltranzista, abbia scelto di non pubblicare i miei commenti a latere del suo resoconto del convegno in favore della famiglia tradizionale tenutosi a Milano lo scorso weekend. Nel primo le chiedevo perché nel suo resoconto non dicesse (ormai lo sanno anche i sassi) che della «bellissima platea» del convegno faceva parte anche il prete pedofilo don Mauro Inzoli. Ma Costanza, sorpresa!, non mi ha pubblicato.
Il giorno dopo era martedì e le ho chiesto perché non citasse nemmeno i La Russa senior e junior, pure loro presenti nella «bellissima platea»; i La Russa, mi sono permessa di scriverle, mi sembrava fossero noti per sfasciare famiglie, più che per sostenerle. Nemmeno questo, Costanza ha pubblicato.
In subordine - era ormai mercoledì - le ho chiesto allora per quale motivo avesse citato nel suo post i salumi Gran Brianza. «Ti pagano per farlo? O semplicemente ti mandano a casa i cosciotti di suino gratis?». Non mi ha pubblicato neanche questo.
Every move you make Poi ho avuto il dannato gastrovirus e non ho avuto la forza di scrivere più nulla. Comunque in redazione noialtre sfaccendate parliamo abbastanza spesso di Costanza Miriano. Ci colpisce il suo look, diciamo, assieme emancipato e succinto, che per noi continua a essere in netto contrasto con le tesi che lei sostiene. La conoscete? Penso di sì, è l'autrice del best seller Sposalo e sii sottomessa, tradotto pure in spagnolo e polacco. Miriano è di Perugia e andava a scuola con una mia collega, che interrogata a riguardo ha dichiarato: «Da ragazzina aveva un'aria molto, ehm, poco sottomessa». Oggi, che è moglie e madre di quattro figli, si accompagna volentieri con l'amico Mario Adinolfi, ex deputato Pd (?), proprio colui che nei giorni scorsi alla trasmissione radio La zanzara ha dichiarato: «La moglie sottomessa cristiana è la pietra fondante, la pietra su cui si edifica la famiglia. Sottomessa significa messa sotto, cioè la condizione per cui la famiglia possa esistere. Una donna mite. E sottomessa non significa che non c'è la parità, eh. Sono due cose diverse».
Every bond you break Stamani, guariti dal gastrovirus, io, il Pupo e la Piccolissima siamo andati a un laboratorio di autoproduzione di bambole organizzato proprio dietro casa. I partecipanti - da 3 a 8 anni - erano tutti maschi. (Il Pupo ha chiamato la sua bambola «Elvis» e mi ha fatto giurare di non dirlo a nessuno, ma questo non c'entra). Mi ha colpito la madre di uno di loro, un bambino dal nome arabo; lei aveva occhiali dalla montatura severa e una ruga alla Ligabue che le spaccava in due la fronte. Sopra i pantaloni indossava una specie di camicione, sopra il camicione il chador. Era, è, italiana.
Every step you take Cos'hanno in comune Costanza Miriano e la mamma del laboratorio di pupazzi, che per tutta la mattina si è mangiata le unghie e ha osservato nervosa l'orologio - forse solo perché aveva una torta in forno e temeva di bruciarla? Qual è il punto di contatto tra la donna con la ruga sulla fronte, i capelli schiacciati sotto il chador e l'aria timida - e la donna bionda, trucco e messa in piega impeccabili, sicura di sé, che si fa fotografare trionfante accanto al Papa e altri vip e poi vende 80.000 copie scrivendo «Chissà, magari si apre una stagione di donne sottomesse per scelta, felici, libere di servire non da schiave ma da donne che possono avere tutto, e scelgono la parte migliore»?
I'll be watching you Non raccontiamoci per piacere che burqa e chador sono l'espressione della libera scelta di donne che semplicemente hanno  un’altra concezione del mondo rispetto a quella occidentale. Lo sarà veramente quando vedremo donne musulmane in bikini, leggings o minigonna. Il sottotitolo del libro di Costanza è pratica estrema per donne senza paura. Mi fa (sor)ridere perché nei suoi testi scomoda spesso San Paolo, ma a me, ogni volta che lo incrocio, viene in mente solo Cinquanta sfumature di grigio. Mi secca un po', poi, che Miriano ripeta di far parte «di una schiera di donne risolte e pacificate, che hanno ricevuto in eredità la libertà fin dalla nascita; che non devono rivendicare nulla, che non gridano in piazza, perché questa libertà non è più in pericolo». Allora. Prima di tutto dovrebbe farsi un giro qui nel Bovisashire, dove abito io. Poi, quale libertà esattamente ha condotto la donna italiana con la ruga sulla fronte a indossare il chador? Mi spiace molto che Costanza non mi abbia mai pubblicato, perché in fondo, a ben vedere, la domanda che avrei voluto farle è questa.

Soundtrack: Every breath you take. (C'è chi crede sia un pezzo romantico e vorrebbe usarlo come colonna sonora alle proprie nozze. Attenzione perché invece parla di gelosia, ossessione, controllo. Anche nel refrain «Oh, can't you see - You belong to me» - «Non capisci che mi appartieni?». Quando Sting l'ha scritta stava uscendo da un brutto divorzio, e lui stesso ha raccontato di essersi accorto della sua atmosfera cupa, sinistra e opprimente solo molto tempo dopo. Ciò non mi impedisce di cantarla a squarciagola ogni volta che la sento passare in radio).



mercoledì 14 gennaio 2015

Alzare ogni giorno l'asticella

Quando, in anticipo sul tuo stupore
Ieri sera sono rientrata dal lavoro e mio padre, uomo in genere taciturno ai limiti dell'intollerabile, mi ha accolto dicendomi: «Guarda che le mamme dell'asilo stanno facendo una colletta per comprare dei vestiti a tua figlia. Quelli che indossa sembra li abbia rubati dai cassonetti. Fai qualcosa, ti prego». In effetti guardandola ho notato che la Piccolissima portava una maglietta slabbrata a righe viola, lilla e blu, da cui spuntava un body fantasia (sbiadita) Dumbo nelle tonalità del giallo; sotto, un paio di leggings marroni rimboccati perché troppo lunghi, con due strisce argento e verde, imitazione Adidas, sui fianchi.
Ma mio padre è un ragazzo tranquillo La Piccolissima, con il suo consueto e microscopico garbo, non ha dato segno di avvedersene e mi ha salutato allegra. La cosa buffissima è che tre giorni fa non parlava e non camminava, mentre nelle ultime ore ha cominciato all'improvviso a correre con andatura robotica e a pronunciare a caso vocaboli complessi come «Barbapapà» e un curioso «Cara, cara» che ripete ossessivamente, con la erre francese di suo zio (che poi sarebbe mio fratello). Se accostata alle pance nude del Pupo e della Pupa, s'impegna all'istante nell'esilarante scherzo denominato «ciccio pernacchia» (consiste nello spernacchiare a più non posso il malcapitato, lo conoscerete); in famiglia abbiamo stabilito che questi, per una bimba di 13 mesi, sono segni di intelligenza.
Certo bisogna farne di strada, da una ginnastica d'obbedienza Tornando però all'abbigliamento, ho chiesto a Mike Delfino a cosa stesse pensando quando ha deciso ieri mattina di vestire sua figlia come un incrocio tra Pippi Calzelunghe e Raffaella Carrà. Lui come a volte fanno i maschi ha subito tentato di rovesciare la prospettiva. «Primo: se non mi dici che vestiti metterle io al mattino li pesco a caso dall'armadio e questo è il risultato. Quale madre non si premura di pensare all'abbinamento giusto per i figli?».
Per quanto voi vi crediate assolti Per un attimo ho avuto sensazione che l'abbia vestita male apposta per essere sollevato dall'incarico. Poi ho pensato che Mike Delfino non è capace di siffatti contorti ragionamenti, non sono nel suo stile. Poi però si è divertito a ricordarmi i miei recenti insuccessi, e allora ho cambiato di nuovo idea e ho pensato che forse sì. «Proprio tu», mi ha detto, «tu mi accusi di imprecisione. Tu, che sabato hai perso le chiavi, per tacer del resto».
Siete per sempre coinvolti In effetti sabato mattina ho accompagnato il Pupo in piscina e il cane al parco lì accanto. Al momento di riprendere il Pupo mi sono accorta di aver perso le chiavi dell'auto in circa 40.000 ettari di verde. Problema: dove mettere il cane, a quel punto? Ho chiesto a una ragazza che stava arrivando in quel momento se poteva occuparsene, e gliel'ho lasciato senza fermarmi ad ascoltare le sue deboli proteste. «Il mio numero, se ti serve, è sulla medaglietta», ho urlato correndo verso la piscina. Ci sono arrivata con un infarto in corso, in ritardo, e ho trovato il Pupo in esilio sulla panca dei Bambini Dimenticati.
Su spinosi ricci di castagne Ritirare in ritardo i bambini in piscina è peggio che ritirarli in ritardo a scuola. In piscina i Bambini Dimenticati siedono in un angolo mesti e infreddoliti, avvolti dal loro accappatoietto ormai fradicio, la cuffia umida tra le mani, i piedi nudi, gli occhi gonfi di cloro e di lacrime. Per fortuna il Pupo è un tipo sportivo e quando gli ho spiegato cos'era successo ha accettato di lavarsi e vestirsi in fretta, senza imbastire le consuete scenate durante le quali si rotola sul pavimento degli spogliatoi in mutande e minaccia di non tornare più a casa.
Temprammo cuori e muscoli in battaglia Sei minuti dopo, mentre la sconosciuta custode di Laccio mi sollecitava al telefono («State arrivando? Io dovrei andarmene, il tuo cane è anche simpatico ma ho un impegno») io e il Pupo abbiamo intrapreso una folle corsa verso il parco. Dopo duecento metri, di tutte le direzioni possibili, mio figlio ha puntato diretto verso un cespuglio. A un metro dal cespuglio c'erano le chiavi. Non finivo più di baciarlo. «Grande!» gli urlavo per la felicità. «Ora ti compro quattro cioccolate calde». Abbiamo messo il cane in macchina - finalmente in grado di aprire il bagagliaio - e siamo tornati in piscina, spremendo il distributore automatico di bevande fin quando al Pupo non è venuto il diabete.
Oh ragazza dalle guance d'aurora Più tardi ho comperato una mousse di cipolla dal fruttivendolo-gioielliere del mio quartiere. Ci spendo molti soldi ma frutta e verdura sono buonissime e il proprietario sollecito e pure un po' galante. Col suo sguardo intenso mi ha convinto a spendere tre euro e ottanta per un vasetto di pochi grammi di mousse superlativa, ma appena uscita dal negozio l'ho fatto cadere e si è infranto a terra. Tra l'altro erano cipolle di Tropea e hanno formato una pallotta brunastra e gelatinosa proprio nel mezzo del marciapiede. Hai voglia a raccoglierle.
L'avvenire di un mondo più umano Nel pomeriggio dovevo andare a prendere la Pupa e un suo amico da una gita scout. Pensavo che l'appuntamento fosse in un certo posto - dove si erano trovati quel mattino, per l'esattezza - ma quando sono arrivata era deserto. Allora ho riletto l'email che ci avevano mandato i Vecchi Lupi: «Ci vediamo alle 16.30 ma attenzione, non nel posto X di stamattina, bensì nel posto Y, a 12 comodi chilometri da lì, da percorrere nel traffico cittadino». Per fortuna sono riuscita a parlare al telefono con un altro genitore e ci ha pensato lui, a ritirare tutti i bambini. Sono tornata a casa a mani vuote, Mike Delfino mi ha guardato stupito: «Dove hai messo la Pupa?». «È una storia lunga», gli ho risposto mentre nella mia testa partiva una musica di Morricone e immaginavo di sfidarlo a duello in un film western. A questo punto sarebbe carino se voleste condividere alcuni vostri fallimenti, esilaranti o anche solo deprimenti. In cambio posso offrirvi la medaglietta del cane con il mio numero di telefono, nonché immensa, imperitura gratitudine.

Soundtrack (dò per scontato che possiate accedere a Spotify e cercare lì queste canzoni)
Verranno a chiederti del nostro amore, Nella mia ora di libertà e Le Storie di ieri di Fabrizio De Andrè
Tutto l'album Appunti partigiani dei Modena City Ramblers


lunedì 5 gennaio 2015

La proprietà transitiva dell'intolleranza

Decluttering (o quel che ci serve davvero)
Rientrata dalla maternità ho scoperto che una mia collega non mi parla né mi saluta più. Alla mia richiesta di spiegazioni - prima eravamo in buoni rapporti - mi ha bofonchiato, più o meno: «Be', tu sei amica di X, e io X non la sopporto». Mi ha escluso dalla sua rete di relazioni perché mi accompagno a una persona che non le piace (se ve lo state chiedendo: no, non ha 13 anni).
Somebody that I used to know È una storia che farebbe sorridere se non fosse deprimente. Ho provato oziosamente a calcolare quante energie dedichi la mia collega a ricordarsi di voltare la testa dall'altra parte quando mi incrocia in corridoio; quanta prontezza di riflessi le sia richiesta per tuffarsi di testa in uno dei cubicoli del bagno ogni volta che entro per lavarmi le mani; quanto veloce e attenta debba essere per sgusciare dalla porta dell'area break in gran fretta, in direzione opposta alla mia, se mi vede arrivare per prendere un caffè.
Oggi è un giorno che vale la pena guardarsi alle spalle Ho pensato: chissà che fatica si fa a trascorrere le giornate con la guardia alzata, perennemente gravati dal fardello dell'odio. Cosa te ne fai, a un certo punto, di tutto quel disprezzo in sovrannumero? Quante persone puoi detestare in contemporanea, e quanto a lungo? A me che lotto per andare verso la semplificazione sembra uno sforzo improbo, insensato.
Tutto più chiaro che qui La mattina di otto anni fa in cui presi congedo dalla casa dove vivevo con il padre della Pupa, quando ci separammo, uscii in dieci minuti buttando in borsa due paia di jeans, cinque magliette, quattro maglioni. Trascorsi l'intero inverno vestita con quelle cose, senza avvertire la mancanza di altro. Da allora vivo con poco, sapendo che quel poco è già tanto.
Quel che si dice badare all'essenziale
Everything means nothing to me Attività tipica di fine e inizio anno: compilare elenchi di buoni propositi. Io stessa ne ho stilati parecchi. E voi, lo fate? Che cosa sognate per l'anno appena iniziato? Tra le voci ricorrenti nelle liste dei miei amici vedo spesso, in pole position, «liberarmi di quel che non mi occorre». Molte mie amiche femmine si disperano per la quantità eccessiva di vestiti. «Ho armadi pieni di cose che non metto da una vita». Io mi dispero all'opposto: se non faccio la lavatrice non so cosa indossare. Rispetto all'inverno di otto anni fa ho raddoppiato il numero di pantaloni (ora ne ho quattro), di magliette (dieci), maglioni (otto). Da due anni non compro scarpe nuove, ho una sola giacca invernale. Il colore nero in molti casi aiuta e risolve. A fare le valigie, quando c'è da partire, sono velocissima.
Easy way out Ai miei figli arriva tanto di tutto. I vestiti li ereditano da vari benefattori, così pure i giocattoli. Sono comunque troppi e molto spesso li regaliamo. «Mi ricordavo che avessimo un puzzle» mi dice la Pupa. «L'ho portato alla casa di accoglienza per i bambini siriani». «Capito», commenta lei, e riprende a piegare origami. Il Pupo quest'anno ha scritto la sua prima lettera a Babbo Natale in autonomia. Mi fa piacere che a sei anni abbia chiare alcune priorità. Se lei mi parlasse, vorrei suggerire alla mia collega di prendere esempio; di rimettere in ordine le sue. Sarebbe bello che anziché detestarmi potesse incontrare una renna, almeno una, anche lei.

Ps: buon anno.

Soundtrack: C'è tutto quest'album bellissimo e poi pure questo