Ho traslocato su erounabravamamma.it

Vi aspetto!

mercoledì 30 settembre 2009

Uscire la sera quando si hanno dei figli

Non è un paese per vecchi
(Sorella di Mike Delfino, anche detta Giàina): "Ma allora tu e Mike Delfino giovedì volete andarci, al cinema, oppure no? Aspettavo una tua telefonata di conferma ieri sera ma poi non ti ho più sentito. Se vi serve vi faccio da baby sitter, altrimenti esco con un'amica che avevo conosciuto nel 2003. Insomma, muoviti a farmelo sapere".
(Io): "Sì, scusa Giàina, è vero, dovevo chiamarti, poi ieri sera sono crollata alle dieci, anche perché i vicini-amici della casa-cantiere mi hanno offerto sette milligrammi di rum della nota marca Pampero. E siccome, pensa un po', proprio dal 2003 non bevo superalcolici, mi sono anche vagamente ubriacata".
(Giàina): "Tra te e Mike Delfino mi fate ridere, entrambi alle 22 crollate... Vabbe', riderò meno quando sarà il mio turno, comunque facciamo così: alle 19.30 circa sono lì, mangiamo qualcosa e poi voi ve ne andate e io me ne sto".

La mia prima reazione è: evviva, finalmente un'occasione per uscire (escluso il viaggio a Parigi, l'ultima volta era stata il 20 agosto), poi il mio cervellino iperattivo inanella le seguenti considerazioni:
1) non facciamo in tempo ad andare al cinema al primo spettacolo, e il secondo inizia alle 22.30. La domanda è, come si fa a restare svegli fino a mezzanotte passata? Voi ci riuscite? Se sì, che sostanze assumete per restare in piedi il giorno dopo?
2) in effetti Mike Delfino vorrebbe portarmi a vedere "Drag me to hell", davanti al quale immagino sia difficile cadere vittima di un colpo di sonno. La domanda in questo caso è, ma se guardo un horror fino a tarda ora, una volta tornata a casa come farò ad addormentarmi? Voi ci riuscite? Specifico che sono un tipo estremamente suggestionabile (l'anno scorso ho visto "Riflessi di paura", poi per mesi ho evitato di guardarmi allo specchio perché ero sicura che prima o poi ne sarebbe uscita una creatura diabolica; ancora oggi non sono del tutto tranquilla). 

Mentre rifletto su queste difficoltà, ecco arrivare una mail di Giàina:
"Però ora che ci penso, sai che ho avuto quella crisi d'asma, se è una cosa virale non vorrei attaccare qualcosa ai Pupi, anche se comunque sono dotata di mascherina. O mi tengo a 1,5 metri di distanza da loro oppure la indosso, che dici?"

Dico che sono felicissima dei miei bambini ma che a volte, anche se so che è un'utopia, vorrei poter uscire senza programmarlo con otto settimane d'anticipo e senza incastrare orribilmente orari e persone in funzione di quel che devo fare. 
Che poi per un motivo o per l'altro, che sia la pandemia di suina o un semplice fatto di logistica estremamente sconveniente, finisce sempre che mi lascio sopraffare dalla stanchezza. Così rinuncio e resto nel cortile della casa-cantiere, tra betoniere e carriole, a fare quattro parole con i vicini-amici anch'essi orribilmente incastrati dai figli. Una volta su due, per giunta, nella penombra tendo a impantanarmi nel cemento fresco, azione cui preludono le imprecazioni degli operai la mattina dopo: "Ma  chi c***z* è lo scemo che ha camminato ancora qui sopra?", esclamano i galantuomini nel chiarore dell'alba del nuovo giorno. 


martedì 22 settembre 2009

Ah, come sono distratte le mamme

Io, che mi ero dimenticata di me
Lo scorso weekend sono stata a Parigi. A trovare un'amica. Da sola.
E' la prima volta che vado via da sola in quattro anni, se si eccettuano le occasionali brevissime trasferte lavorative.
Vorrei poter dire che me la sono cavata benissimo, ma non è così.
(Alle partenze di Linate, con tono vagamente piccato): "Signora dell'ufficio informazioni, mi scusi, ho un volo per Parigi ma al check-in della Easy Jet non c'è nessuno".
(Signora gentile): "Mi fa vedere la sua prenotazione?"
(Io): "Certo. Eccola".
(Lei, sospirando): "Signora, il suo volo è da Malpensa. A quest'ora ci vuole più di un'ora ad arrivarci. Non ce la farà mai":
(Io, fingendo indifferenza): "Bene. Mi dica allora, cosa vola su Parigi da qui?"
"A quest'ora della sera solo Alitalia. Ma non so se trova posto, sa, è venerdì. Vanno tutti a Parigi al venerdì".
"Certo. E' naturale, tutti vanno a Parigi il venerdì".

(Alla biglietteria Alitalia, tra il riso e il pianto): "Signora, cosa costa il biglietto per Parigi?"
"Solo andata o andata e ritorno?"
"Il ritorno ce lo avrei già".
"Sì, ma solo andata le posso dare unicamente la business. Fanno... 850 euro".
(A questo punto mi veniva proprio un po' da piangere. Ho attivato il pensiero laterale, ho riflettuto sulle soluzioni alternative e): "E se allora proviamo a cercare una tariffa andata e ritorno promozionale, con un ritorno a caso, per trovare l'offerta più bassa?"
"Aspetti, mi faccia vedere. Dunque... ecco, in effetti se prendiamo un ritorno il 18 ottobre ho una promo a 214 euro, più 30 di diritti d'agenzia, che fanno..."
"... 244?"
"Brava. Vede, è conveniente".
"Eh certo. Soprattutto contando che l'andata ce l'avevo già".
"...?"
"Sì, vede, ho sbagliato aeroporto. Non mi guardi come se fossi scema. Ho due figli piccoli, il minore ha 10 mesi e ancora non dorme la notte."
"Ah. E riesce anche ad andare via?"
"Cos'è, mi vuol fare sentire in colpa?"
"Macché. La invidio. Io, per dire, non riesco neanche ad andare a un concerto all'hangar di Linate".

A Parigi, come succede una volta ogni millennio, la metropolitana era bloccata per via di un incidente. Mentre percorrevo in taxi la strada tra l'aeroporto e l'albergo mi sforzavo di pensare a quanto shopping avrei dovuto evitare di fare per riparare al danno economico. Poi il weekend è stato bellissimo: con la mia amica sono andata all'hammam della Moschea, un'esperienza rigenerante anche se mentre una donna araba mi massaggiava mi sono resa conto che non ero più padrona dei contorni di me.
Un po' come scriveva Irene nel post precedente: quando diventi mamma la prospettiva sulle cose cambia talmente che non riesci nemmeno più bene a capire come occupare lo spazio, come riempire i silenzi, come tenere impegnato il tempo che da troppo tempo non è più tuo. Nella microscopica camera d'albergo affacciata su un cavedio e sui fumi di un ristorante ho avuto persino modo, tra una cosa e l'altra, di provare tutti i getti idromassaggio della doccia, pulire gli stivali, trastullarmi con un giochino elettronico sul cellulare. Roba che neanche alle medie. Non ho messo piede nemmeno in un negozio (per i noti motivi) ma ho mangiato cus cus e formaggi francesi, bevuto vino rosso con l'accento sull'ultima sillaba, camminato fino ad avere male ai piedi, spedito una cartolina a Mike Delfino, una al Pupo, una alla Pupa. A lei, scrivendo in stampatello e con le lacrime agli occhi per la commozione: "sei il mio amore", pensando che sarà la prima cartolina che leggerà da sola (quante prime volte ci sono, coi bambini).

Tornata nella casa/cantiere ho trovato: un discreto disordine, il frigo vuoto, Mike Delfino con la bava alla bocca per aver badato, pur volentieri, al Pupo durante il weekend (la Pupa era sistemata altrimenti). Dopo due notti di sonni interrotti Mike era veramente provato. E' andato a letto alle 20.30, prima dei Pupi, blaterando frasi sconnesse.
Messi a nanna i bambini mi sono trovata di nuovo immersa nel silenzio e nella quiete e ho pensato, io erano quattro anni che non dormivo come ho fatto in questi due giorni.
E poi ho pensato: che vita vuota sarebbe, senza i bambini e senza Mike. Ma come sarebbero puliti i miei stivali, e quanti record batterei con quel giochino, e forse mi farei pure la vasca da bagno con la cromoterapia.
E poi ho pensato che Parigi è proprio bella, e poi che ci tornerei domani.

sabato 12 settembre 2009

Il corpo delle mamme

Se una tua amica virtuale scrive cose bellissime come questa, succede che le pubblichi sul tuo blog (grazie Irene)

Inizia quando resti incinta. Il tuo corpo non è più tuo. Non puoi mangiare quello che vuoi, e soprattutto, non puoi curare i tuoi piccoli o grandi mali come faresti se quell’esserino non fosse dentro di te, minuscolo e importantissimo. Poi cominciano le visite mediche, e la cosiddetta privacy esce dal tuo modo di pensare. Ciò che era più intimamente tuo non è più tuo. Vogliamo parlare della discrezione e dell’intimità, ad esempio, di una bella ecografia vaginale? “Signora, per favore mi faccia un goccino di pipì in questo bicchierino” ti chiede la segretaria della ginecologa mentre aspetti il tuo turno. “Oh caspita, la faccio in continuazione, quasi non riesco a tenerla, ma l’ho appena fatta e adesso non mi viene, mi dà qualche minuto? Posso bere un bicchiere d’acqua?” – non hai più remore a raccontare nulla.

Poi arriva il momento fatidico, e vai in ospedale. Lì ti visitano in cinquecento, e la faccia più o meno simpatica dell’ostetrica non è mai la stessa della volta prima, perché com’è giusto ognuno ha i suoi orari e turni. E tutti si portano dietro l’apprendista, per cui è un continuo “vedi qui, guarda qua, questo si fa così”. Prego. Prego, fate pure, non c’è problema, tutti devono imparare. Anche quello/a che ti fa un male bestia perché è ancora inesperto, o la ragazzina che al primo giorno di lavoro è più agitata di te, e se non fosse che ti trovi già in pieno baby blues ti verrebbe da rassicurarla. E infatti le scoppi a piangere in faccia senza vergogna, a una cui pochi anni fa avresti potuto dare ripetizioni per aiuto compiti, e lei imbarazzatissima a dirti ”signora non faccia così”.

C’è il delicatissimo momento dell’allattamento, c’è chi ci riesce e chi no: io no. Nei miei ricordi confusissimi, rivedo un sacco di mani sulle mie tette, e dato che proprio non ci riuscivo e lui strillava come un’aquila dalla fame, perfino quelle dei parenti della mia vicina di letto, non so davvero se solo donne o anche uomini.

Perdi ogni senso del pudore, a casa te ne vai in giro mezza nuda, coi capelli sporchi e il seno cascante.

Ti rendi conto che il tuo corpo è suo, ed è come il suo. Anche tu profumi di latte, rigurgitino e cacchina. Mentre lo guardi in quegli occhi dal colore indefinito e di una profondità mai sperimentata, senti che che la sua pelle è la tua pelle, perché lo hai fatto tu, perché è sempre appiccicato a te, perché avete lo stesso odore. Quando lo cambi capita che ti arrivi una gioiosa cascata di pipì in fronte, e non ti fa nemmeno un po’ schifo. Lo vigili, ormai grandino, mentre fa il bagno e ti compiaci per come ti sia venuto bene, proporzionato e bello, con due gambette belle proprio come le tue, quando erano belle.

Comincia a crescere e a camminare, ti usa come appiglio, sei sempre lì, sei sua. E mentre ti adatti all’idea che mai più il tuo corpo ritornerà come prima, che ormai per sempre dovrai indossare scarpe di una misura di più e abiti di due taglie in più, lui ti pesta i piedi per saltarti in braccio o si attacca alla tua manica per usarla come asciugamano o come fazzoletto.

Quando è malato ti usa come letto, cuscino, riparo, conforto. Ti porti dietro l’odore di acetone, quando miracolosamente riesci a staccarti da lui per fare una corsa in farmacia, talvolta anche quello di vomito.

Qualche volta ci provi, a dissimulare quelle brutte macchie brune ormai indelebili, con un po’ di fondotinta. Arriva lui tutto contento, mamma faccio io, ti spatacca la spugnetta dappertutto anche sui capelli e ti dice mamma sei proprio bella. Perché per lui SEI bella. La mamma è bella, belli i suoi capelli, non più così folti come quando era ragazza, fatti per giocare e per aggrapparcisi quando si fanno i capricci. Ti pettina, ti riempie la testa di curiose mollette, ti prepara fantasiose collane, prova perfino a limarti le unghie (mai farsi sorpendere in questa del resto rarissima attività: ti rubano l’attrezzo e ti fanno un male cane). E sai che questo durerà poco, che un giorno ti guarderà con un certo preadolescenziale fastidio, perchè lui fai presto a crescere quanto tu sei lenta a renderti conto che non puoi più chiamare la mamma, perchè la Mamma sei tu.

Anche il tuo cervello non è più lo stesso. Ci impieghi mezz’ora ad imbroccare un indirizzo e-mail, i trattini, le chioccioline, i puntonet, puntoit, puntocom continuano a confondersi e a sbagliare posizione. Ma ti tornano alla memoria canzoncine sentite più di trent’anni fa, e il polo della creatività incomincia improvvisamente a lavorare: ti scopri capace di improvvisare storielle assurde e rime improbabili, sequenze di parole inventate che lo fanno ridere di quella stupenda risata primordiale dei bimbi. Leggi le storie ad alta voce, alternando silenzi, ritmi accavallati, modulando le voci dei personaggi, quasi fossi uscita or ora da un corso di recitazione.

Lo hai contenuto quando cresceva dentro di te, ora devi contenere i suoi capricci, le sue paure, i suoi racconti, le canzoncine imparate all’asilo, perché poi te le devi ricordare. Contenere le sue crisi di rabbia perché non si faccia male. (La pediatra: non si preoccupi, è una fase che attraversano tutti i bambini, è fondamentale per la costruzione della loro personalità. – Lui ha di certo costruito la sua identità ma io mi sono distrutta la schiena!). Contieni la sua stanchezza del venerdì pomeriggio, quando dopo una settimana di asilo non ce la fa a camminare e te lo devi portare a casa in braccio. Devi affrontare i suoi dubbi e le sue curiosità, trovare spiegazioni ai suoi perché anche quando nemmeno tu te li sai spiegare.

Forse è perché devi contenere tutte queste cose che il tuo corpo è diventato così grosso e forte anche se pieno di acciacchi. Gli addominali, mai stati scolpiti in verità, sono del tutto scomparsi per far posto ad un ventre da matrona, hai braccie nerborute e muscolose che mai avrebbero potuto appartenere alla ragazza sottopeso che sei stata.

Questo è il periodo degli incubi e della paura dei mostri. Mille volte al giorno cerca le mie mani. Per addormentarsi ha bisogno di taaante coccole come fanno i Teletubbies. Nella notte urla perché ha sognato “qualquosa di spaventoso” e sono io a correre perché so che è me che vuole, il mio odore, il mio corpo che lui ha reso ampio e morbido. So cosa lo rassicura: devo sdraiarmi su un fianco accanto a lui, e non importa che sia quello dolorante. Devo posargli una mano sulla pancia e aspettare che si tranquillizzi. Penso a quanto possa essere triste un bimbo senza mamma o una mamma senza bimbo. E mentre torno nel mio letto mi sento stanca ma vorrei anche che tutto questo fosse eterno.

martedì 8 settembre 2009

Primogeniti & secondogeniti

Bisogna pur passare il tempo, bisogna pur che il corpo esulti
Secondo l'American Time Use Survey, un'ampia indagine sul tempo libero dei cittadini statunitensi, i genitori dedicano ai secondogeniti mezz'ora di coccole in meno al giorno rispetto ai primogeniti. Fosse (anche a cicche e spanne) vero, fanno 3mila ore (o 125 giorni) di attenzioni in meno nell'arco dell'intera infanzia. Ovvio, non è una questione di preferenze ma di tempo e di energie disponibili, ma resta il fatto che i secondi (e terzi, e quarti...) figli tendono ad arrangiarsi come possono. 
Per contro, sono molto svegli anche perché cominciano prestissimo a imitare i fratelli maggiori, in adorazione dei quali - di solito - vivono.
Il Pupo, per esempio, che ha quasi 10 mesi, osserva da tempo gli usi e costumi della Pupa, e progressivamente si sforza di farli suoi. Ciò suscita nella sua mamma (cioè in me) molta tenerezza.
L'altro giorno ero lì a disfare scatoloni (ricorderete che abbiamo appena traslocato) quando ho sentito un rumore di acqua corrente. Mi sono voltata: il Pupo era sparito. Ma come? Mi son detta, era qui un attimo fa. E' pur vero che i bambini in età da gattonamento sono inclini a subitanee sparizioni, ma in questo caso lo scrosciare dell'acqua mi ha condotto subito alla meta: il bagno.
Il Pupo era in piedi, appoggiato al bidet. A dire il vero, in punta di piedi, con le sue gambotte storte tutte tese. Era riuscito ad aprire l'acqua e la stava bevendo. Per meglio dire, si stava strozzando: non è ancora molto bravo a sorseggiare liquidi che non provengano da un biberon. Però insisteva. Gorgogliava, tossicchiava, sputava e rideva, facendosi anche la doccia nel frattempo. Che l'acqua sapesse di morchia (l'impianto della casa è nuovo) non lo disturbava. Era lì, tutto contento e trionfante: ce l'aveva fatta. Beveva dal bidet come la Pupa, sua sorella. 
Che figli intelligenti che ho, mi sono inorgoglita. E che impeccabili maniere, che eleganza sopraffina.





mercoledì 2 settembre 2009

Vita in cantiere

E' bello vivere finalmente nella casa nuova, ma

Ore 21.25
"AAAAH! Eeeeh! Aaaah! Yuuuuuuuuh!" (La Pupa)
"Ueeeeeeee! Yeeeeeeeh!! Aaaaah! Guuuuuuuu! Uuuuuuh!" (Il Pupo)

Nel post precedente ho accennato che abbiamo traslocato. Viviamo in una casa in cohousing: abitazioni private e tanti spazi comuni, tra cui una gigantesca terrazza con piscina, un salone per feste e cene, un locale hobby, una lavanderia, un giardino.
Fico, direte voi.
Peccato che al momento solo sei appartamenti (su 32) siano abitati e che i suddetti spazi comuni siano un cantiere. Dalle 7 del mattino alle 19 qui fuori sembra di stare a Kabul. All'alba mette piede in quello che un giorno sarà un giardino e che ora è un ammasso di macerie il tuttofare Emilio, carpentiere-muratore-fabbro-falegname con un timbro di voce più possente di quello della buon'anima di Pavarotti. "Buongiorno," tuona rivolto alla betoniera, strappandoti al sonno, e per un attimo gli auguri di raggiungere il Grande Tenore nei pascoli del cielo. Poi inizia a trapanare non si capisce bene cosa. I Pupi, quella mattina su 10 che ancora dormono, si svegliano all'istante.
"Mammaaaaaaa!" (La Pupa, dalla stanza a Ovest)
"Ogggggggrrrr! Eeell!" (Il Pupo, dalla stanza a Est).
Io e Mike Delfino scattiamo in piedi come dei soldatini.

Poi vado a riposarmi un po' al lavoro (i bambini restano con la tata Julia e con l'eroica Nonna Mao - mia mamma, non dal nome del leader cinese ma dal verso del gatto). Quando torno, sfatta dal caldo e per essermi persa più volte nell'ancora misterioso tragitto redazione-abitazione, comincia la routine intrattieni Pupi-prepara pappa-lava Pupo caduto nel cemento fresco-dai pappa- fai giro del cantiere che alla Pupa piace tanto (quarantesima volta)-rilava Pupo caduto nello stucco in polvere-spiega alla Pupa che la betoniera è amica di Emilio ma non sua e che no, buttarci dentro i personaggi Pisney non è una buona idea-tenta di mettere a letto i Pupi.

La vita del cantiere per i bambini da 0 a 4 anni è spossante. Arrivano a sera esausti e sordi. Oggi, dopo averli lavati con l'acqua oliosa dell'impianto "non ancora entrato a regime ma non dovesse esserci problema, signò, tempo due settimane e sarà perfetto" (parole dell'idraulico) i Pupi sono come impazziti e hanno cominciato a urlare. Isterici.
Io e Mike Delfino li abbiamo separati tenendoli chiusi a strepitare ciascuno nella sua stanzetta. Culla di qua, ninna di là, dopo alcuni interminabili minuti sono crollati. Strabica per la stanchezza sono scesa al piano di sotto e ho cominciato a leggere il giornale. Tra un articolo e l'altro meditavo di chiudere il blog, di licenziarmi, di separarmi dai bambini e magari anche da me stessa.
Poi è sceso Mike Delfino - lui ha pescato la pagliuzza più corta, cioè il Pupo, e ci ha messo più di me. Si è guardato attorno, nel silenzio irreale nel cantiere ormai arreso all'oscurità. "What a quiet night", ha commentato, ed è andato a lavarsi i denti.