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mercoledì 29 agosto 2012

Madeleine di fine vacanze

Non c'è come tentare di parlare con tuo figlio al telefono
Nell'attesa che Baracca (la Pupa) e Burattini (il Pupo) tornino dal mare dopo nove settimane di vacanza, io e Mike Delfino viviamo le ultime ore di relativa spensieratezza e folleggiamo blandamente in città. Dove per «folleggiare» si intende alzarsi tardissimo (anche alle nove del mattino!), guardare tre puntate di seguito della serie tv Mentalist (conoscete?), ingannare il tempo dipingendo le pareti di casa di vari colori (es. verde tavolo da biliardo, carta da zucchero, turchese), farsi sfottere il giorno dopo dai colleghi in ufficio («È tempera, quella che hai sparsa tra i capelli e le unghie dei piedi?»)
Il vuoto legato alla mancanza dei Pupi è del resto mitigato dai weekend di costante pendolarismo tra Milano e la Liguria. Roba che fiaccherebbe anche un cavallo: in settimana si sgobba, nel fine settimana si trotta su e giù per la spiaggia all'inseguimento dei nani, senza contare che il viaggio in sé prevede a. treni superaffollati oppure b. code in autostrada o ancora c. partenze all'alba del lunedì mattina per essere al lavoro in tempo.
In ogni caso, ciascuno di noi elabora la nostalgia come può. Mike Delfino sostiene la teoria secondo cui «i bambini è meglio non sentirli proprio, per non intristirsi e non intristire loro». Io invece li chiamo tutti i giorni.
Storie di insuccesso I Pupi, del resto, non vogliono quasi mai venire al telefono. Se lo fanno, sono bruschi e sbrigativi. Qualche esempio:
(Pupo): «Mamma, tu sei bella, pelò non ti voglio pallale» (clic).
Oppure: «Mamma, sei blutta e devi andale a vivele con un'altla famiglia. Ti voglio bene» (clic).
Oppure: «Mamma, sono mimmo mommo. Ahahahah!» (clic).
(Pupa): «Ciao mamma, da grande voglio avere la tua stessa voce e i tuoi stessi capelli. Ti voglio un bene come una carezza. Ciao, devo andare» (clic).
Oppure: «Ciao mamma, ti ricordi la mia bambola Paolona, quella che aveva paura di tutto, persino del risotto? Ora non ha più paura né del risotto né dei leoni. Però ha paura delle eruzioni dell'Etna. Ciao, devo andare» (clic).
Ogni telefonata dura in media 7/8 secondi e non prevede alcun intervento da parte mia, né interazione. Del resto, neanche con mia mamma.
(Io): «Ciao, mamma, tutto bene?»
(Lei): «Bene, bene, tu?»
«Bene. Cosa avete fatto oggi? Cos'hanno detto i Pupi?»
«Non me lo ricordo. Ogni tanto mi dico: "Questa devo proprio scrivermela" e poi hop! mi passa di mente».
«Peccato. Vabbé, mi passi il Pupo?»
Ammesso che vengano a parlarmi, la loro tecnica è: dirmi una frase a caso (massimo due) e poi attaccare. Quando va male, invece, non riesco neanche a parlarci. Allora mi accontento di sentire che aria tira sullo sfondo, mentre parlo con mia madre.
(Io): «Ciao mamma, tutto bene?»
(Lei): «Sì, bene. Mettilo dentro».
(Io): «Cosa devo metter dentro?»
(Lei): «Ce l'ho con tuo figlio. Ho detto mettilo dentro!».
(Io): «Scusa?»
(Lei): «Adesso metti subito il pisello dentro il costume. Non fare l'esibizionista. Paola, tuo figlio è un porco».
(Io): «Lo so. Si è denudato di nuovo?»
(Lei): «Stavolta il costume ce l'ha: ha tirato fuori solo il pisello. Ho detto mettilo dentro, non mi interessa se ha caldo».
Il che mi porta a chiedervi Che rapporto hanno i vostri figli col telefono? Vi parlano volentieri? Da che età sono in grado di sostenere conversazioni, diciamo, non totalmente surreali? A volte mi diverto a immaginare cosa succederebbe se i Pupi mantenessero quest'atteggiamento neghittoso anche durante la loro vita adulta. Anni fa ho conosciuto un tizio che detestava il telefono. Non si è mai comprato un cellulare, preferisce scrivere, meglio se lettere di carta e non email. Non ha molti amici, però.

lunedì 20 agosto 2012

Quel che resta della Danimarca (e di me)

Crisi di coscienza
La realtà è che sono partita per le vacanze stanca, svuotata e senza la benché minima voglia di scrivere una riga, da nessuna parte. Ecco spiegata la mia assenza dal blog. Nel frattempo ho avuto anche modo di chiedermi: ma poi, fa davvero la differenza? Se vado avanti oppure no, intendo. In fondo, a chi importa? Se non leggete più il mio blog, leggerete quello di qualcun altro. In fondo, siamo tutti sostituibili. In fondo, fa caldissimo. Dopo la terza ripetizione, l'espressione «in fondo» comincia già a sembrarmi detestabile. In fondo, piuttosto che scrivere potrei anche decidere di fare un solitario.
Poi arriva il messaggio di questa misteriosa Annalisa (leggetelo: è l'ultimo commento al post precedente a questo) che dice più o meno: «Ci manchi. Spero non ti sia successo nulla, e che tu sia stata semplicemente in vacanza». E mi torna un pochino la voglia di scrivere, e di risponderle: in fondo, è andata proprio così.
Piccolo resumé delle vacanze in Danimarca Non mi ricordo se ve l'ho detto: siamo andati ad Aarhus con uno scambio di casa. Ne facciamo ormai da un anno: prima di quest'estate siamo stati a Roma, e a Venezia. A giugno, per uno scambio non simultaneo, abbiamo ospitato una famiglia di Lisbona (mentre noi eravamo in Abruzzo); noi andremo in Portogallo a ottobre (sembra un meccanismo complesso ma è semplicissimo).
Il nostro ultimo scambio casa in dieci punti (vantaggi e svantaggi)
1. Si risparmia un sacco - ovvio.
2. Si può scambiare pure l'auto - noi l'abbiamo fatto - risparmiando altri soldi ed evitando di perdere tempo prezioso al car-rental dell'aeroporto. In cambio della nostra gloriosa Xsara Picasso, neotagliandata, 70.000 km e carrozzeria perfetta abbiamo avuto una vecchia macchina da pappone serbo, pianale bassissimo, 260.000 chilometri, consumi che lévati, quarta marcia che faticava a ingranare. A parte ciò, molto solida.
3. Nella casa danese ci sono cinque camere da letto e un solo bagno, che in compenso misura 27 metri quadrati. Il pavimento è piacevolmente riscaldato, il che a certe latitudini aiuta. Però i danesi hanno inspiegabilmente coperto la vasca da bagno con un pannello in compensato, sul quale è poggiato un materasso, a sua volta ingentilito da un copriletto. Prima che il capofamiglia, messo alle strette, mi confessi via mail che il materasso si può spostare, passiamo una settimana a fare solo docce al buio, rapide e scomode: se la pressione dell'acqua scende sotto un certo numero di atmosfere la cornetta ti cade in testa. In più la doccia è situata in un angolo totalmente privo di illuminazione e la tenda è di quelle che al minimo movimento ti si appiccicano addosso, avvolgendoti come un viscido domopak.
4. Non si capisce perché, ma i danesi hanno un'asciugatrice che anziché asciugare gli abiti, li ghigliottina.
5. I danesi hanno un pozzetto congelatore nascosto nel capanno degli attrezzi. Dentro il pozzetto congelatore ci sono un centinaio di finti-gelati tipo Gran Soleil, però danesi quindi di default più cattivi. Poi, mezzo sacchettino di gamberetti e quel che sembra un agglomerato di aringhe surgelate.
6. In giardino i danesi hanno dei conigli da compagnia. Si chiamano così ma in realtà sono creature insulse e inamovibili. Prima della partenza riceviamo istruzioni precise: nutrirli e dargli da bere un giorno sì e un giorno no. In realtà fa più caldo del normale (punte di 22 gradi, wow!) e presto ci accorgiamo che l'acqua va cambiata molto più spesso. Anche due volte al giorno. I conigli intuiscono la nostra incompetenza e cominciano, oltre che a bere, a spazzolare crocchette a ritmi indiavolati. Dunque aumentiamo la dose. L'ultimo giorno afferro il sacchetto del cibo ma ne balza fuori un topino di campagna. Faccio un urletto isterico da Priscilla, regina del deserto e cado chiappe all'aria sull'unico metro quadrato in cemento di tutto il giardino.
7. Cose fichissime da copiare dai danesi: a) il pianoforte - ne avevano uno in casa e dopo anni di astinenza mi sono rimessa a suonarlo. b) Il calcio balilla - piantato nel mezzo del soggiorno fregandosene dell'estetica; è divertentissimo e ho stracciato innumerevoli volte Mike Delfino il quale si giustificava dicendo che è mancino. c) i giochi per i bambini: c'erano le altalene, il salterello (tappeto elastico) e pure la buca di sabbia per fare i castelli. Però il Pupo ha detto che non era sabbia ma mergilla (= argilla in lingua Pupica). Credo che sia perché lassù il sole non scalda, e tutto è sempre umido.
8. Cose che non ci aspettavamo: i nostri vicini ci hanno riferito che in piscina i danesi si sono comportati da Unni, occupandola per molte ore al giorno e usando maschera, pinne e boccaglio. Del resto da loro d'estate ci sono tra i 16 e i 20 gradi - è comprensibile che, una volta qui, si scatenino. 
9. Danni: loro ci hanno sfasciato uno scopino pulisci-gabinetto. Noi, un gioco che riproduce su scala ridotta una trivellatrice (poi parzialmente riparato da Mike Delfino).
10. Cose da non invidiare ai danesi: come molti nordici, sono disordinatissimi e super-sciatti. Eviterò di parlare degli standard igienici della loro casa. Vi dico solo che da noi hanno dimenticato, tra l'altro: a) una patata bollita nella scarpiera (ritrovata per caso. Marcia e piena di moschini. Pensate che Mike Delfino dava la colpa della puzza ai miei sandali!). b) delle pinne da uomo, nuove. c) 4 cuffie da piscina, nuove. d) un ventilatore, nuovo. e) creme solari, assorbenti interni ed esterni (nuovi), spray antizanzare. f) 3 magliette da bambina, nuove con ancora l'etichetta, che andranno benissimo alla Pupa. g) un paio di ciabatte Crocs, molto usate (le ho buttate) h) due bottiglie di vino buonissimo. Pensavamo fosse un regalo e invece i danesi ci hanno lasciato un biglietto: «Queste ve le lasciamo perché non ci stanno in valigia». Che tipi. i) un pacchetto di M&M's in macchina (liquefatte).
Voi che ne pensate dello scambio casa? L'avete mai fatto? Lo fareste? Sotto, un piccolo reportage fotografico che spero renda un po' l'idea (l'autrice degli scatti è la mia amica Franci, che con i suoi Pupi ci ha raggiunto in Danimarca).

Il calcio balilla in mezzo al soggiorno.
L'arcobaleno sopra Aarhus (una passeggiata tra le nuvole)



Uno di quei nomi che si ricordano facilmente.

Tipico paesaggio danese.

Il mare, finalmente.


Mike & Pupo.


Chiappini

Il famoso «salterello»


La casa da fuori