Non c'è come tentare di parlare con tuo figlio al telefono
Nell'attesa che Baracca (la Pupa) e Burattini (il Pupo) tornino dal mare dopo nove settimane di vacanza, io e Mike Delfino viviamo le ultime ore di relativa spensieratezza e folleggiamo blandamente in città. Dove per «folleggiare» si intende alzarsi tardissimo (anche alle nove del mattino!), guardare tre puntate di seguito della serie tv Mentalist (conoscete?), ingannare il tempo dipingendo le pareti di casa di vari colori (es. verde tavolo da biliardo, carta da zucchero, turchese), farsi sfottere il giorno dopo dai colleghi in ufficio («È tempera, quella che hai sparsa tra i capelli e le unghie dei piedi?»)
Il vuoto legato alla mancanza dei Pupi è del resto mitigato dai weekend di costante pendolarismo tra Milano e la Liguria. Roba che fiaccherebbe anche un cavallo: in settimana si sgobba, nel fine settimana si trotta su e giù per la spiaggia all'inseguimento dei nani, senza contare che il viaggio in sé prevede a. treni superaffollati oppure b. code in autostrada o ancora c. partenze all'alba del lunedì mattina per essere al lavoro in tempo.
In ogni caso, ciascuno di noi elabora la nostalgia come può. Mike Delfino sostiene la teoria secondo cui «i bambini è meglio non sentirli proprio, per non intristirsi e non intristire loro». Io invece li chiamo tutti i giorni.
Storie di insuccesso I Pupi, del resto, non vogliono quasi mai venire al telefono. Se lo fanno, sono bruschi e sbrigativi. Qualche esempio:
(Pupo): «Mamma, tu sei bella, pelò non ti voglio pallale» (clic).
Oppure: «Mamma, sei blutta e devi andale a vivele con un'altla famiglia. Ti voglio bene» (clic).
Oppure: «Mamma, sono mimmo mommo. Ahahahah!» (clic).
(Pupa): «Ciao mamma, da grande voglio avere la tua stessa voce e i tuoi stessi capelli. Ti voglio un bene come una carezza. Ciao, devo andare» (clic).
Oppure: «Ciao mamma, ti ricordi la mia bambola Paolona, quella che aveva paura di tutto, persino del risotto? Ora non ha più paura né del risotto né dei leoni. Però ha paura delle eruzioni dell'Etna. Ciao, devo andare» (clic).
Ogni telefonata dura in media 7/8 secondi e non prevede alcun intervento da parte mia, né interazione. Del resto, neanche con mia mamma.
(Io): «Ciao, mamma, tutto bene?»
(Lei): «Bene, bene, tu?»
«Bene. Cosa avete fatto oggi? Cos'hanno detto i Pupi?»
«Non me lo ricordo. Ogni tanto mi dico: "Questa devo proprio scrivermela" e poi hop! mi passa di mente».
«Peccato. Vabbé, mi passi il Pupo?»
Ammesso che vengano a parlarmi, la loro tecnica è: dirmi una frase a caso (massimo due) e poi attaccare. Quando va male, invece, non riesco neanche a parlarci. Allora mi accontento di sentire che aria tira sullo sfondo, mentre parlo con mia madre.
(Io): «Ciao mamma, tutto bene?»
(Lei): «Sì, bene. Mettilo dentro».
(Io): «Cosa devo metter dentro?»
(Lei): «Ce l'ho con tuo figlio. Ho detto mettilo dentro!».
(Io): «Scusa?»
(Lei): «Adesso metti subito il pisello dentro il costume. Non fare l'esibizionista. Paola, tuo figlio è un porco».
(Io): «Lo so. Si è denudato di nuovo?»
(Lei): «Stavolta il costume ce l'ha: ha tirato fuori solo il pisello. Ho detto mettilo dentro, non mi interessa se ha caldo».
Il che mi porta a chiedervi Che rapporto hanno i vostri figli col telefono? Vi parlano volentieri? Da che età sono in grado di sostenere conversazioni, diciamo, non totalmente surreali? A volte mi diverto a immaginare cosa succederebbe se i Pupi mantenessero
quest'atteggiamento neghittoso anche durante la loro vita adulta. Anni fa ho conosciuto un tizio che detestava il telefono. Non si è mai comprato un cellulare, preferisce scrivere, meglio se lettere di carta e non email. Non ha molti amici, però.
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