Ho traslocato su erounabravamamma.it

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lunedì 29 marzo 2010

Era un giorno come tanti altri

Certe cose non si dimenticano

Poiché curiosamente ho un cospicuo numero di amiche e conoscenti vicine al parto, e mi pare di trascurarle un po', ripesco questo post dell'anno scorso (che ho anche pubblicato sul mio libro) per tornare, assieme a voi, sul tema.
Vedete la manina rosa? Il post partecipa a "Mamma che ridere", quindi scrivete, scrivete, scrivete, perché a) i vostri commenti verranno premiati e b) sono curiosissima di sapere quel che avete combinato in sala parto. Non dimenticate di lasciare un indirizzo email (potete scrivermi anche in privato)!

Prima della nascita della mia primogenita, detta “la Pupa”, avevo anche frequentato dei corsi. Il generico “preparto”, il rilassante “stretching per gestanti”, il noiosissimo “acquaticità in gravidanza”, un breve quanto inutile seminario “simulazioni di allattamento”. Mi ero anche documentata sull’esoterico canto carnatico, secondo il metodo di Frédérick Leboyer, che si rifà alle antiche tradizioni indiane e consiglia alle donne di utilizzare la voce, modulandola, per soffrire meno durante il travaglio.
Pensavo: sarà lungo ma sopportabile. In fondo non sono una che frigna.
Mi immaginavo il dolore come un’onda. Pensavo: se non cerco di resistere, se mi lascio trasportare da quest’onda, ce la farò senza grandi problemi. Il trucco sta nel passare attraverso l’onda, mi ripetevo.
Un sabato mattina verso le undici, tre giorni dopo la data presunta del parto, ho perso il tappo di muco di cui mi avevano parlato tanto. Sapevo che poteva precedere l’inizio del travaglio di pochi minuti come di due o tre giorni. “Ohibò!” ho detto. Dieci minuti dopo sono cominciate le contrazioni.
Tutti allegri e tranquilli – c’era anche mia sorella, che doveva solo accompagnarmi in auto ma poi è rimasta con me, preziosa doula improvvisata, fino alla fine – all’ora di pranzo siamo andati in ospedale. Mi hanno visitato: dilatazione un centimetro. “Signora, se vuole può andare a casa. È un primo figlio, ci vorrà del tempo”.
Ho fatto una smorfia. Il dolore aumentava. “Okay, vedo se c’è una camera libera”, si è convinta l’ostetrica.
Alle due mi hanno dato una stanza. Nel tragitto tra l’ascensore e il mio letto, in corridoio, mi piegavo ogni trenta secondi. Non che abbia mai provato, ma avevo la sensazione che qualcuno mi sparasse all’addome.

- (Infermiera, caustica, assistendo ai miei silenziosi contorcimenti): “Ehi, senti un po’. Se continui così non arrivi in fondo”.
- (Io, prendendo vagamente fiato): “Grazie, bengentile. È confortante”.
- (Infermiera, con l’aria di chi sa lunga): “A meno che…”
- (Io, speranzosa): “A meno che?”
- (Infermiera, allontanandosi lungo il corridoio mentre sghignazza): “A meno che il tuo non sia un parto pre-ci-pi-to-so!”.

Prima dell’arrivo della Pupa pensavo che non avrei chiesto l’epidurale. Volevo che il mio fosse un parto più naturale possibile, ma per prudenza avevo fatto comunque la visita preliminare dall’anestesista (“mi servirà solo in caso di complicazioni”, pensavo).
Alle tre sono entrata in sala travaglio, col fiato corto, urlando a centoventi decibel, “Epidurà! Epidurà! Epidurà!”. Alzavo anche la mano per attirare l’attenzione e riuscivo a pensare solo due cose: 1) Non riesco nemmeno a finire la parola “epidurale” e 2) Se incontro Frédérick Leboyer gli spacco la faccia.
L’epidurale non è arrivata. Dopo un veloce monitoraggio mi hanno proposto di fare il travaglio nella vasca. Ho detto sì e volevo tuffarmi subito, ma mi hanno fermato: “Aspetta almeno che ci sia l’acqua”. Quando finalmente è arrivato il momento mi ci hanno buttato dentro sollevandomi di peso. L’acqua calda rilassa all’istante i muscoli e lenisce il dolore. “Ohporcavaccacosìsiragiona”, ho detto. Tuttoattaccato.
Dopodichè, ho perso le parole.
Mi dicevano: “Respira lentamente”. Io ansimavo come un mantice.
Mi dicevano: “Calma”. Mi sembrava di non riuscire ad aprire bocca, ma mi hanno raccontato che ho morso. Prima il lenzuolo, poi il braccio di qualcuno.
Mi hanno tirato fuori dalla vasca, ogni tanto mi visitavano. Sembravo posseduta come nell’Esorcista. La dilatazione progrediva veloce. Troppo veloce per un primo figlio. Sei, sette centimetri. “Ehi, è troppo veloce persino per l’epidurale”, ha commentato qualcuno a un certo punto. “Non c’è pausa tra una contrazione e l’altra”, ha aggiunto qualcun altro. Ah, ah, avrei riso se mi fossi ricordata come si faceva. In quel momento ho pronunciato la mia prima e unica parolaccia. Una ginecologa di passaggio mi ha fulminato. “Non hai imparato niente al corso preparto?”. “In effetti no, signora. Non mi ricordo nulla”. Ed era proprio così.
(to be continued)


martedì 23 marzo 2010

Competizione tra mamme


C'è che le altre mi sembrano tutte perfette, e io ho gli adesivi dei Cuties nei capelli

Giorni fa ho letto un post della mia amica Wonderland che mi ha fatto molto ridere e al tempo stesso ho trovato inquietante per via di una coincidenza: raccontava di un colloquio di lavoro importante a cui si è presentata con un adesivo blu, o qualcosa di simile - non ricordo esattamente perché i miei neuroni ultimamente son come omogeneizzati col Bimby - incastrato nei capelli, e non se n'è resa conto che alla fine del colloquio. Ecco a me è successo lo stesso: intervistavo la moglie perfetta di un chirurgo plastico nell'ambito di un'inchiesta che sto facendo per il giornale per cui lavoro, e tornata a casa mi sono resa conto che io, nei capelli, avevo un adesivo dei Cuties. Sapete quei personaggetti della Walt Disney che costano una fucilata (due euro e cinquanta l'uno) e vengono in bustine verdi del tutto anonime per renderne impossibile il riconoscimento a priori? I Cuties sono una collezione demenziale. Saranno nove personaggetti in tutto, alti un centimetro e mezzo, prodotti in Cina a 0,001 centesimi e per trovarli tutti e nove devi comprarne quaranta. Nella mia esperienza la rarity è Paperina. O meglio la nipotina di Paperina, viste le dimensioni. L'abbiamo inseguita per settimane, avevamo sei Gastoni, otto Topolini, quattro Paperoni, e finalmente ieri l'abbiamo trovata. Nel frattempo per sostenere le spese ho fatto la cessione del quinto dello stipendio. C'è chi sottoscrive un finanziamento per l'auto, per la casa, per le vacanze: ecco io l'ho fatto per i Cuties. Me li sogno pure di notte, che venga un raffreddore forte al porco che se li è inventati.
I Cuties sono l'equivalente bambinesco della competizione tra mamme. Se non hai i Cuties all'asilo non sei nessuno. Le pupe altolocate per spocchia nemmeno se li scambiano come facevamo noi con le figurine: se cedi un Cuties per averne in cambio uno mancante significa che non hai i soldi, il che nell'asilo del centro città che frequenta la Pupa è un marchio d'infamia.
Comunque sempre meglio che confrontarsi con le altre donne sui vestiti, le borse e in generale i denari. Io vado in giro con le pezze al sedere, anzi peggio: oggi tornata a casa mi sono accorta che avevo i pantaloni squarciati, venti centimetri sotto il cavallo. E sono pure stata ai giardinetti con la Pupa in mezzo a una mandria di diavolesse vestite Prada. Le mamme quando si confrontano tra loro tirano fuori il peggio: se gli uomini combattono a colpi di Suv, esse ostentano messe in piega da urlo, accessori che costano quanto la rata mensile del mio mutuo, appartamenti la cui distanza dal Duomo di Milano si misura in centimetri e non in chilometri. Per noi trasferiti nella periferica casa-cantiere è ogni volta una dura botta.
Io nell'arena nemmeno scendo. Sto sempre seduta in prestito sull'angolo della panchina, o in piedi a fissare la Pupa cercando telepaticamente di trasmetterle il messaggio che dobbiamo andare a casa. Il peggio del peggio è la competizione sulle tate. Il gioco funziona così: vince chi ne ha di più. Semplice e implacabile. Scatole cinesi di tate: c'è quella del mattino "che fa solo le pulizie", la peruviana "perché i pupi devono imparare lo spagnolo", la au pair italo-tedesca "che è come una sorella maggiore" (ma intanto costa il suo giusto), la baby sitter serale, quella che li accompagna a nuoto. Ogni tata ha il suo ruolo.
Non so come facciano. O spendono quattromila euro al mese, o le pagano cinquanta centesimi all'ora.
Ragazze che leggete, vedete la manina rosa? Vi invito a commentare. Il tema, nel caso anche i vostri neuroni fossero nel Bimby, è proprio questo: competizione tra mamme. I commenti più divertenti vincono un botto di pannolini (vedi post precedente).
P.S. In molte mi avete chiesto di avere Quaquerello. Mi sto dando da fare per recuperarne qualche esemplare. Se li trovo attiverò un concorso parallelo e le vincitrici lo riceveranno a casa. Ma ora... scatenatevi sul tema!

venerdì 19 marzo 2010

Mamma che ridereeeee

Scriviamo assieme uno spettacolo teatrale?
Ve lo chiedo senza girarci troppo attorno.
Siccome un po' ormai vi conosco, e

so se che se leggete questo blog siete molto spiritose (e spiritosi), e inoltre:
- quasi certamente avete un figlio (o più)
- o un nipotino
- oppure occasionalmente, diovibenedica, avete fatto da babysitter ai miei pupi
- o comunque, insomma, quando vedete in giro un bambino non urlate per il raccapriccio,

se vi va, come spero, di partecipare, potete sbizzarrirvi con aneddoti inerenti ai temi che di volta in volta vi proporrò, e che ruotano tutti attorno alla maternità.
Funziona come con i normali commenti: voi li lasciate e io li raccolgo.
Col tempo vi svelerò nuovi dettagli sullo spettacolo: per ora posso dirvi che si terrà a maggio, sarà interpretato da un'attrice comica brava, simpatica e mamma di cui mannaggia ancora non ci hanno detto il nome, e che è un'iniziativa di The talking village (il banner che da settimane ho inserito sulla mia home page vi porta al sito). Per ogni dubbio, per scoprire la lista dei 10 blog che partecipano, oppure se siete blogger a vostra volta e volete dare il vostro contributo, andate a sbirciare Mamma che ridere.
Ah! Fino al 7 aprile, in tutti i post che hanno la manina rosa, lasciare un commento premia: il nostro sponsor è la Huggies, e ogni settimana i 15 aneddoti più divertenti ricevono uno sbadaluffo di pannolini a casa (a proposito: se non avete un account registrato, ricordatevi di lasciare un indirizzo mail in fondo al commento, per contattarvi se vincete).
Chi partecipa e non ha figli può usare i pannolini per imballare oggetti fragili o anche come confezione regalo di un anello di fidanzamento (so che è surreale ma il mio l'ho ricevuto proprio così, avvolto in un elegante Newborn. Però non era un Huggies. Mi scusi, signor sponsor) (Oddio, non si sarà mica offeso) (Uhm. Dev'essere della Vergine. Tipi un pochino permalosi).

Bene. E ora, visto che sono in ritardo perché ho impiegato 29 ore a capire come incollare il banner con la manina rosa, direi che possiamo anche partire.
Nelle prossime ore vi fornirò lo spunto per il primo tema. Ma sentitevi libere di proporre aneddoti anche extra-lista! Vale tutto, e sarei davvero felice se qualcuno dei commenti partiti da qui finisse sul palco di un teatro.
P.S. La Pupa dice spessissimo "Esterodàzzino". Il primo che indovina cos'è vince un bicchiere di vino rosso. Niente pannolini però.


martedì 16 marzo 2010

L'opera struggente di un formidabile genio (il Pupo)


Sapete che non ho mai usato le immagini, ma
Altrimenti non avrei saputo come spiegarmi.
Piccolo intermezzo ludico tra un caso di mobbing rosa e l'altro (poi ritorneremo sul tema, ho novità):
il delizioso pupazzetto che vedete fotografato è stato battezzato dalla Pupa Zio Quaquerello. Ha una particolarità che lo rende irresistibile: prendendolo per il collo e sbattendogli con delicatezza le chiappe a terra lui comincia a muovere il collo medesimo e a canticchiare una canzoncina che secondo la Pupa dice:
"Ella rallèra appèndaun, ella rallèra aide. Qua qua ra qua ra qua qua, qua qua ra qua ra qua."
Il primo Quaquerello di cui siamo stati i fortunati possessori ha avuto un incidente durante il trasloco nella casa-cantiere.
Più o meno è andata così:
(Mike Delfino): "Ma secondo te posso piegargli il collo, a questo piccoletto, per metterlo in uno scatolone?"
(Io): "Ma certo. E' fatto apposta".
(Quaquerello): "Sstòck!"
Per fortuna, il caso ha voluto che in seguito ne trovassimo altri due, uno da un venditore ambulante e l'altro, quando non ci speravamo più, in un mercatino second-hand.
I Quaquerelli sono i nostri pupazzi preferiti. Sono discreti, l'interruttore per attivarli è messo in modo che i bambini non riescano ad azionarlo, quindi potete renderli inoffensivi per tutto il tempo che volete. Se invece desiderate compagnia, se vi viene in mente di improvvisare un veloce balletto in famiglia, li accendete e ondeggiano come garbati hawaiani.
Anche per via del colore sono stati un raggio di sole per tutto il lungo e gelido inverno.
Noi amiamo i Quaquerelli. Nessuno di noi farebbe male a un Quaquerello consapevolmente.
Ma.
Si sa che i bambini ripetono quel che vedono fare agli adulti. Il Pupo, 16 mesi, l'altro giorno ne ha rapito uno afferrandolo per il collo, e poi zac! lesto come un fulmine è trotterellato fino in bagno. Prima che potessimo fermarlo l'aveva già voltato a testa in giù e si era messo a usarlo come scopino per il water, tuffandolo più volte in acqua.


Poi è tornato tutto sorridente. Quaquerello sorrideva un po' meno, poveretto, sottoposto alla terribile tortura del waterboarding. Ora è tutto ciancicato e non canta più.

giovedì 4 marzo 2010

L'ostinata persistenza del raspeghino in gola

Non sono scomparsa, è solo che
Sto finendo questo libro, e il resto purtroppo non esiste. Credo che i Pupi se potessero mi licenzierebbero. Per sovrannumero in questi giorni Mike Delfino è ad Amsterdam e quella che qualcuno chiamerebbe «gestione familiare» è in equilibrio piùcheprecario. Volevo solo raccontarvi una cosa: oggi al lavoro una collega giovane e single ha detto a me e un'altra mamma che insomma, forse, secondo lei, magari,

chi ha figli non dovrebbe fare il nostro lavoro

Le ho detto: e quindi le redazioni dovrebbero essere fatte da single e poi, mano a mano che ai giornalisti eventualmente capitasse, per accidente della sorte, di innamorarsi e fors'anche di riprodursi, dovrebbero di propria iniziativa dimettersi?
Lasciami indovinare: soprattutto se donne?
Lei mi ha risposto che nella vita a volte è questione di scelte. Mi è venuta in mente la Concita De Gregorio che se non mi sbaglio dirige un giornale e di figli ne ha avuti una batteria (oltre ad aver scritto uno dei più bei libri in circolazione sull'argomento). Stavo per citargliela poi ho pensato di lasciare perdere anche perché sono molto stanca e non ho voglia di dibattito. Certo è che tornando a casa ci ho rimuginato tanto sopra, poi mi sono messa a pensare a come sarebbero i giornali senza mamme (non solo i giornali femminili, eh), poi a come sarebbero in generale i posti di lavoro senza mamme, e ancora più in generale il mondo senza mamme.
Ora senza voler fare nessuna stupida retorica della maternità aggiungo solo che sono passate già diverse ore e mi è rimasto come un raspeghino in gola che proprio non riesco a mandar via. Coincidenza bizzarra perché su Gioia questa settimana ho proprio scritto un articolo sul «mobbing rosa» e tutto sommato oh, come è vero che in tanti casi sono proprio le donne, a odiare le donne.