Ci sono cose che val la pena raccontare, altre che forse meno
Dopodomani che è venerdì, a Milano, libreria Feltrinelli, presentiamo il nostro romanzo. Se qualcuno di voi volesse passare mi farebbe immensamente felice. Una cosa buffa tra le tante cose buffe che stanno succedendo attorno a questo libro è che Pif - immagino di non dovervi raccontare chi è - ha vissuto per alcuni anni in casa della mia coautrice, di cui è molto amico, e ha assistito alla sua conversione da gaudente onnivora a vegana.
Suppose I never ever met you Quando ancora non dovevo occuparmi di ventisei bambini e un cane, e Pif era meno Pif di adesso, e con ciò voglio dire che tutti eravamo un po' più agili e meno impegnati di oggi, capitava che cenassimo assieme e lui mi dicesse, con l'espressione seria e concentrata che gli conoscete, scandendo bene le parole: «Vedi, Paola, io possibilmente mangio solo cose che abbiano le zampe». Niente frutta, niente verdura. «Soprattutto niente cose piccole come i piselli. Sai, così minuscoli... mi fanno impressione». Sarà divertente, venerdì, sentirlo raccontare il suo sconcerto quando la mia amica ha abbandonato pollo e gamberetti per consacrarsi al seitan e al cavolo rapa.
If I kiss you where it's sore È proprio vero che esiste la legge del contrappasso. Di recente ho appreso che la fidanzata di Pif è vegetariana, e che lui per amore non mangia più carne ma solo pasta e verdure (sì, pure i piselli). Comunque più rifletto su questo libro più mi rendo conto che il cibo ha un ruolo davvero centrale nelle nostre vite, simbolico oltre che pratico intendo. Forse in Italia più che altrove nel mondo. Il mio amico di Berlino mi racconta che per loro non è comune cenare, e che in genere vanno a letto dopo aver mangiato un po' di pane e formaggio, magari uno yogurt. Io mi taglierei le vene dopo tre giorni, ma loro sono contenti così. Per non parlare dei Paesi del Nord Europa in cui la gente mangia camminando, pescando con le mani da cartocci unti in cui è infilato chissà che.
Da che punto guardi il mondo L'altro giorno la bicicletta mi ha tradito. Ho imboccato la rampa che porta ai box proprio sotto il mio ufficio, ho schiacciato i freni per scendere piano e... tlac! Uno dei due ha ceduto. Ho sussultato nel vedere il portellone del garage venirmi incontro a velocità considerevole. Sempre più veloce, sempre più vicino... non ho fatto in tempo a pensare un granché: giusto che di lì a poco mi sarei schiantata e avrei potuto farmi molto male, lasciando i miei figli orfani - o con una madre viva ma paralizzata. Per fortuna il signore - non lo scrivo maiuscolo ma ho pensato fosse proprio lui - ha guardato giù: il portellone del garage, ho avuto modo di scoprire al momento dell'impatto, non era di rigido metallo ma fatto con un telone di plastica grigia, molto morbido, che ha attutito il colpo. Ci ho sbattuto contro, sono caduta dalla bici, mi è spuntata una terza chiappa sul gluteo sinistro. Ma non mi sono rotta nulla. Con le gambe che mi tremavano sono salita alla reception. «Scusate», ho detto alle ragazze. «Volevo avvisarvi che sono andata a sbattere in bici contro il portellone». Una mi ha guardato e mi ha detto: «Si è fatta male?». Nello stesso momento, l'altra ha pronunciato queste esatte parole: «Il portellone si è rovinato?». Ho pensato che è proprio vero. Da che punto guardi il mondo, tutto dipende.
Gracias a la vida Nella friabile terra di nessuno che separa la veglia dal sonno, ieri sera il Pupo mi ha sussurrato una storia. «Sai mamma, la maestra ci ha raccontato che quando lei era piccola nella sua classe c'era un muro. I bambini in castigo venivano messi in piedi contro quel muro e se ne stavano lì, tristi. Per questo l'avevano chiamato il muro del pianto». «Ma pensa, Pupo. E io che per anni ho creduto che il muro del pianto fosse tutt'altra cosa». «Invece nella mia classe, mamma», mi ha mormorato lui prima di cedere alla stanchezza, «abbiamo un muro che chiamiamo muro dei desideri». «Come funziona, amore?» gli ho chiesto accarezzandogli i capelli. «Tu vai lì e gli dici a bassa voce un desiderio. E se fai il bravo la mattina dopo torni in classe e lo trovi avverato, sul tuo banco». «E tu cos'hai desiderato, amore?». «Un transformer, mamma. Mi è arrivato un po' scassato, però è arrivato. Domani te lo mossstro», mi ha detto sorridendo, con gli occhi già chiusi, poi si è addormentato.
Soundtrack:
Ascoltate su Spotify tutto l'album di Regina Spektor, Begin to hope. E poi, anche se avete giurato a voi stessi che non l'avreste sentita mai più, date un'altra occasione a Tutto dipende di Jarabe de Palo. E per finire: mi toglie sempre il fiato Gracias a la vida. L'ha cantata per prima Violeta Parra, poi l'ha rifatta mezzo mondo. A me piace tanto anche nella versione di Mercedes Sosa.
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3 settimane fa