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Vi aspetto!

mercoledì 25 febbraio 2015

La versione di Pif

Ci sono cose che val la pena raccontare, altre che forse meno
Dopodomani che è venerdì, a Milano, libreria Feltrinelli, presentiamo il nostro romanzo. Se qualcuno di voi volesse passare mi farebbe immensamente felice. Una cosa buffa tra le tante cose buffe che stanno succedendo attorno a questo libro è che Pif - immagino di non dovervi raccontare chi è - ha vissuto per alcuni anni in casa della mia coautrice, di cui è molto amico, e ha assistito alla sua conversione da gaudente onnivora a vegana.
Suppose I never ever met you Quando ancora non dovevo occuparmi di ventisei bambini e un cane, e Pif era meno Pif di adesso, e con ciò voglio dire che tutti eravamo un po' più agili e meno impegnati di oggi, capitava che cenassimo assieme e lui mi dicesse, con l'espressione seria e concentrata che gli conoscete, scandendo bene le parole: «Vedi, Paola, io possibilmente mangio solo cose che abbiano le zampe». Niente frutta, niente verdura. «Soprattutto niente cose piccole come i piselli. Sai, così minuscoli... mi fanno impressione». Sarà divertente, venerdì, sentirlo raccontare il suo sconcerto quando la mia amica ha abbandonato pollo e gamberetti per consacrarsi al seitan e al cavolo rapa.
If I kiss you where it's sore È proprio vero che esiste la legge del contrappasso. Di recente ho appreso che la fidanzata di Pif è vegetariana, e che lui per amore non mangia più carne ma solo pasta e verdure (sì, pure i piselli). Comunque più rifletto su questo libro più mi rendo conto che il cibo ha un ruolo davvero centrale nelle nostre vite, simbolico oltre che pratico intendo. Forse in Italia più che altrove nel mondo. Il mio amico di Berlino mi racconta che per loro non è comune cenare, e che in genere vanno a letto dopo aver mangiato un po' di pane e formaggio, magari uno yogurt. Io mi taglierei le vene dopo tre giorni, ma loro sono contenti così. Per non parlare dei Paesi del Nord Europa in cui la gente mangia camminando, pescando con le mani da cartocci unti in cui è infilato chissà che.
Da che punto guardi il mondo L'altro giorno la bicicletta mi ha tradito. Ho imboccato la rampa che porta ai box proprio sotto il mio ufficio, ho schiacciato i freni per scendere piano e... tlac! Uno dei due ha ceduto. Ho sussultato nel vedere il portellone del garage venirmi incontro a velocità considerevole. Sempre più veloce, sempre più vicino... non ho fatto in tempo a pensare un granché: giusto che di lì a poco mi sarei schiantata e avrei potuto farmi molto male, lasciando i miei figli orfani - o con una madre viva ma paralizzata. Per fortuna il signore - non lo scrivo maiuscolo ma ho pensato fosse proprio lui - ha guardato giù: il portellone del garage, ho avuto modo di scoprire al momento dell'impatto, non era di rigido metallo ma fatto con un telone di plastica grigia, molto morbido, che ha attutito il colpo. Ci ho sbattuto contro, sono caduta dalla bici, mi è spuntata una terza chiappa sul gluteo sinistro. Ma non mi sono rotta nulla. Con le gambe che mi tremavano sono salita alla reception. «Scusate», ho detto alle ragazze. «Volevo avvisarvi che sono andata a sbattere in bici contro il portellone». Una mi ha guardato e mi ha detto: «Si è fatta male?». Nello stesso momento, l'altra ha pronunciato queste esatte parole: «Il portellone si è rovinato?». Ho pensato che è proprio vero. Da che punto guardi il mondo, tutto dipende.
Gracias a la vida Nella friabile terra di nessuno che separa la veglia dal sonno, ieri sera il Pupo mi ha sussurrato una storia. «Sai mamma, la maestra ci ha raccontato che quando lei era piccola nella sua classe c'era un muro. I bambini in castigo venivano messi in piedi contro quel muro e se ne stavano lì, tristi. Per questo l'avevano chiamato il muro del pianto». «Ma pensa, Pupo. E io che per anni ho creduto che il muro del pianto fosse tutt'altra cosa». «Invece nella mia classe, mamma», mi ha mormorato lui prima di cedere alla stanchezza, «abbiamo un muro che chiamiamo muro dei desideri». «Come funziona, amore?» gli ho chiesto accarezzandogli i capelli. «Tu vai lì e gli dici a bassa voce un desiderio. E se fai il bravo la mattina dopo torni in classe e lo trovi avverato, sul tuo banco». «E tu cos'hai desiderato, amore?». «Un transformer, mamma. Mi è arrivato un po' scassato, però è arrivato. Domani te lo mossstro», mi ha detto sorridendo, con gli occhi già chiusi, poi si è addormentato.

Soundtrack:
Ascoltate su Spotify tutto l'album di Regina Spektor, Begin to hope. E poi, anche se avete giurato a voi stessi che non l'avreste sentita mai più, date un'altra occasione a Tutto dipende di Jarabe de Palo. E per finire: mi toglie sempre il fiato Gracias a la vida. L'ha cantata per prima Violeta Parra, poi l'ha rifatta mezzo mondo. A me piace tanto anche nella versione di Mercedes Sosa.


giovedì 12 febbraio 2015

Come sopravvivere a un vegano (e ad altri eventi della vita)

Una storia vegan.
Oggi esce il mio romanzo!
Sei anni fa - avevamo entrambe partorito da poco, io il Pupo, lei la sua primogenita, aka la Bambina Empatica - la mia amica storica mi ha annunciato che sarebbe diventata vegana. Il suo compagno pensava già da tempo che quello fosse l’unico modo giusto (e degno, ed etico) di nutrirsi. «Proprio tu, P., che vivresti di sushi e salumi?» le chiesi quando, superato lo choc iniziale, riuscii a pronunciare una frase di senso compiuto.
Fare a meno La mia amica Paola - si chiama così - ha trascorso gli ultimi anni a studiare e impratichirsi. Ha svezzato e cresciuto vegane sia la Bambina Empatica che la Bambola-Terremoto (la sua secondogenita, che oggi ha quattro anni). Ha praticato una sorta di epurazione costante e progressiva: chi mangia veg in genere è anche green nell'animo, o è destinato a diventarlo. E così - incoraggiata e sorretta dal suo compagno - ha eliminato l'auto, rinunciato ai viaggi aerei, ai detersivi, ai capi d'abbigliamento che contenessero anche solo un centimetro quadrato di pelle e una serie di altre cose che non vi sto a dire ora ma che poi leggerete.
Salvare il mondo Il compagno della mia amica è una specie di irreprensibile supereroe vegano. Per lui non esistono azioni neutre: di ogni cosa si chiede se sia buona o cattiva, se faccia bene al pianeta oppure no. Boicotta il circo. Raccoglie e salva piccioni feriti. Non uccide nemmeno camole, tarme e zanzare. Frequenta comunità tipo Ippoasi e fa meditazione Vipassana.  Come un saltatore in allenamento, sposta ogni giorno l’asticella. Sempre più in alto. Sempre più santo. Si informa, studia, cita statistiche: «Chi non mangia carne può salvare fino a 50 animali all’anno», ripete sempre alle sue bambine.
Livin' la vida vegan La scorsa primavera, il secondo choc: Paola è tornata onnivora. Ha capito e deciso che la vita veg non faceva più per lei. «In fondo, sai, ero una cos player vegana», mi ha confessato. E così, assieme abbiamo pensato di scrivere un libro ispirato alla sua storia, che è poi la storia di tanti. Oggi in Italia, secondo l'ultimo rapporto Eurispes, i vegetariani sono quattro milioni e 300.000, i vegani più di 400.000. Una dieta “verde”, ci viene detto e non a torto, protegge da tumori e cardiopatie, è altamente sostenibile – produrre un chilo di carne per esempio costa quanto produrne dieci di cereali – e, naturalmente, cruelty free. Ma non è per tutti.
Sgombrare il campo dai dubbi Il nostro libro avrebbe dovuto intitolarsi Come sopravvivere a un vegano (e ad altri eventi della vita). Però, dopo averlo letto, l'editore ha commentato: «Ehi! Non è un manuale semiserio come pensavamo all'inizio... è un vero romanzo!». E così, felici di aver ricevuto una promozione, gli abbiamo cambiato il titolo e l'abbiamo chiamato Straziami ma di tofu saziami. Io credo che, proprio come questo blog, Straziami vi farà ridere, riflettere e pure commuovere. Spero che amerete questo mio figlietto come amate Ero una brava mamma. Dal canto mio, scrivendolo, ho capito tante cose: per esempio che per essere buoni vegani non ci si improvvisa. Che occorre studiare gli esatti equilibri tra verdure e legumi, attrezzarsi a uno slalom virtuoso tra solanacee, seitan e besciamella di soia, compilare accurati elenchi di cibi proibiti, prevedere qualche integratore (di vitamina B12, per esempio); essere particolarmente cauti se nella scelta dei genitori sono coinvolti anche i figli, verso i quali buon senso vorrebbe – ma non sempre è così – che ogni rigidità sia vietata. Potrei andare avanti per ore, ma (per ora) mi fermo qui.



                                          

martedì 3 febbraio 2015

Misteriosi pallini rossi che nascono tra i capelli

Girls in peacetime want to dance
L'altra mattina - una mattina di metà settimana - ho portato i Ratti maggiori a sciare. («Mamma, smettila di chiamarci Ratti» - mi sembra di sentire la voce della Pupa che si lamenta. «Allora vi chiamerò "adorabili fringuelli"». «Mi piace!» dice il Pupo, ma questo non c'entra nulla con Facebook).
C'eravamo abbastanza amati Il Pupo era già salito sugli sci a Natale. Ma per la Pupa, 9 anni, era una prima volta assoluta. Così ho coinvolto nell'impresa e invitato anche suo padre - l'uomo con cui un tempo sono stata sposata. Avendo uno spirito sportivo egli ha mostrato di divertirsi parecchio, nonostante per tutto il giorno io gli abbia canticchiato en amitié «Vecchio scarpone, quanto tempo è passato» osservando le sue calzature, più adatte alla Ritirata di Russia che a un'innocua gitarella a un'ora da Milano.
Poi siamo volati su dei campi di grano rettangolari Avevamo - io, Mike Delfino e il padre della Pupa - concertato preventivamente il seguente piano: a) non dire niente ai Pupi; b) uscire di casa (io - Mike Delfino è rimasto a casa con la Piccolissima) con loro alle otto del mattino come per andare a scuola, avendo nottetempo svuotato i loro zaini dai libri e avendoli riempiti di materiale da sci; c) passare a prendere il padre della Pupa, e con lui involarci per la montagna. Naturalmente qualcosa è andato storto, per esempio: i bambini hanno cercato di mettere o prendere delle matite negli zaini, Mike Delfino li ha subito rimproverati - se l'avessero fatto, avrebbero scoperto la nostra cospirazione - e minacciati di botte; i bambini si sono offesi e hanno minacciato di uscire senza salutarlo; Mike Delfino li ha pregati di fare subito pace, loro hanno accettato perché fondamentalmente sono dei buoni.
È una giornata fredda e luminosa «Perché andiamo a prendere papà?» mi ha chiesto la Pupa. Io, con voce severa: «Perché la tua maestra, figlia mia, ci ha convocato entrambi per un colloquio. Hai combinato qualcosa?». Lei, innocente: «No. Sono stata bravissima. Forse vuole parlarvi di alcuni progetti» (!). Raccattato il padre della Pupa, pochi minuti dopo, abbiamo imboccato la superstrada. «Mamma, ma non è di qui che si va a scuola». «Zitti, bambini, è una scorciatoia. Fatemi un piacere piuttosto: controllate negli zaini se vi ho messo la merenda, ché altrimenti dobbiamo passare a prenderla dal panettiere». Il Pupo, stupito: «Ma... qui c'è una tuta da sci! Una termica! Un collo di pile! Un'intera tavoletta di cioccolato con le nocciole! Degli stivali! Delle calzemaglie! » (Il Pupo è convinto che si dica così, le calzemaglie, al plurale). La Pupa: «Anche da me! Anche da me!».
Possano questi lampi illuminare la fine Sono rimasti per qualche secondo in silenzio, così emozionati e increduli da non trovare il coraggio di fare due più due. Poi il Pupo è esploso: «Ci portano a sciare!». 

E arriverà un ciclone e forse ci lascerà stare I bambini hanno avuto per tutto il giorno la faccia della felicità, l'emozione nella voce, un sorriso chiaro e sentimentale. Sono cialtroni ma molto romantici, in fondo. Hanno adorato i loro maestri dai nomi buffi: Lello, Zanna. Sono caduti spesso e poi si sono rialzati. Hanno preso la seggiovia, sono saliti, sono scesi. Hanno avuto coraggio. Li abbiamo a lungo fotografati. È stato tutto perfetto - solo,  a pranzo la Pupa ha commesso il tragico errore di ordinare non polenta e salsiccia come noialtri, ma pasta al pesto. Si può ordinare pasta al pesto a 1800 metri, e aspettarsi che sia buona? Ci credete se vi dico che il rifugio dove abbiamo mangiato si chiamava, ma è stato un caso, Ratti?
C'era un rumore in lontananza, ma eri tu  Tornando a casa i bambini mi hanno comunicato che avevo vinto il titolo di «Miglior mamma del mondo». «Se partecipassi a un concorso con le dieci madri più brave del mondo arriveresti prima». «Dopo questa giornata ti promettiamo che non litigheremo mai più, che ti ascolteremo sempre e apparecchieremo la tavola senza che dobbiate obbligarci voi a farlo». La mattina dopo, a scuola, la maestra della Pupa era commossa. «Idea geniale. Piango dalla gioia», mi ha scritto via sms. Invece il Pupo è tornato a casa un po' così. «Hai mostrato alla maestra la giustificazione sul diario?». «Sì, ma lei mi ha detto che non si va a sciare di mercoledì» (Era il suo primo giorno di assenza da scuola in tutto l'anno, nda) (Della serie: come smorzare gli entusiasmi) (Ma noi, comunque, ci torneremo).
Ragazzina piccolina La cosa più buffa del 2015 fin qui: per una serie di equivoci la Pupa si è convinta che suo fratello generi pallini rossi dalla testa. Il Pupo ha indossato felpe e maglioni rossi per diversi giorni di fila, dopo Natale, e lei, standogli vicino, gli ha scovato tra i capelli alcuni minuscoli batuffoli di lana. È successo una, due, poi tre volte. La quarta e la quinta, i pallini di lana ce li ho messi io. E anche la sesta. Adesso mi sono creata una piccola scorta di pallini rubati a un maglione e gliene piazzo uno qua e uno là ogni tanto, quando mi ricordo; poi faccio in modo che la Pupa lo noti. Anche il Pupo, di riflesso, si è convinto di essere un produttore di pallini. «Credo che mi nascano sotto i ricci», ha spiegato serio. Adoro questo fatto che a 6 anni un bambino ritenga possibile un simile fenomeno. Ma anche a 9, se è una patata come la Pupa. Ogni volta che ci penso rido (sto ridendo anche adesso. Spero anche voi).


Soundtrack: Ascoltate su Spotify, per piacere, Costellazioni (autori: Luci della centrale elettrica). È stato la mia colonna sonora per quasi tutto questo post. Poi però verso la fine ho ascoltato A Dean Martin e altre belle canzoni di Fabio Concato, tra cui Ciao, Ninìn. Un uomo dall'umorismo sottile che avevo dimenticato, ma poi per fortuna è arrivato il mio collega Sergio Labuz a ricordarmi che esiste. Il sottotitolo del post invece è quello dell'ultimo album dei Belle and Sebastian. Un gruppo che ho adorato, ma di recente hanno fatto una virata dance che mi lascia perplessa.



domenica 25 gennaio 2015

Le cose che non capisco non sono tutte belle

Every breath you take
Per esempio non capisco perché Costanza Miriano, scrittrice e blogger cattolica&oltranzista, abbia scelto di non pubblicare i miei commenti a latere del suo resoconto del convegno in favore della famiglia tradizionale tenutosi a Milano lo scorso weekend. Nel primo le chiedevo perché nel suo resoconto non dicesse (ormai lo sanno anche i sassi) che della «bellissima platea» del convegno faceva parte anche il prete pedofilo don Mauro Inzoli. Ma Costanza, sorpresa!, non mi ha pubblicato.
Il giorno dopo era martedì e le ho chiesto perché non citasse nemmeno i La Russa senior e junior, pure loro presenti nella «bellissima platea»; i La Russa, mi sono permessa di scriverle, mi sembrava fossero noti per sfasciare famiglie, più che per sostenerle. Nemmeno questo, Costanza ha pubblicato.
In subordine - era ormai mercoledì - le ho chiesto allora per quale motivo avesse citato nel suo post i salumi Gran Brianza. «Ti pagano per farlo? O semplicemente ti mandano a casa i cosciotti di suino gratis?». Non mi ha pubblicato neanche questo.
Every move you make Poi ho avuto il dannato gastrovirus e non ho avuto la forza di scrivere più nulla. Comunque in redazione noialtre sfaccendate parliamo abbastanza spesso di Costanza Miriano. Ci colpisce il suo look, diciamo, assieme emancipato e succinto, che per noi continua a essere in netto contrasto con le tesi che lei sostiene. La conoscete? Penso di sì, è l'autrice del best seller Sposalo e sii sottomessa, tradotto pure in spagnolo e polacco. Miriano è di Perugia e andava a scuola con una mia collega, che interrogata a riguardo ha dichiarato: «Da ragazzina aveva un'aria molto, ehm, poco sottomessa». Oggi, che è moglie e madre di quattro figli, si accompagna volentieri con l'amico Mario Adinolfi, ex deputato Pd (?), proprio colui che nei giorni scorsi alla trasmissione radio La zanzara ha dichiarato: «La moglie sottomessa cristiana è la pietra fondante, la pietra su cui si edifica la famiglia. Sottomessa significa messa sotto, cioè la condizione per cui la famiglia possa esistere. Una donna mite. E sottomessa non significa che non c'è la parità, eh. Sono due cose diverse».
Every bond you break Stamani, guariti dal gastrovirus, io, il Pupo e la Piccolissima siamo andati a un laboratorio di autoproduzione di bambole organizzato proprio dietro casa. I partecipanti - da 3 a 8 anni - erano tutti maschi. (Il Pupo ha chiamato la sua bambola «Elvis» e mi ha fatto giurare di non dirlo a nessuno, ma questo non c'entra). Mi ha colpito la madre di uno di loro, un bambino dal nome arabo; lei aveva occhiali dalla montatura severa e una ruga alla Ligabue che le spaccava in due la fronte. Sopra i pantaloni indossava una specie di camicione, sopra il camicione il chador. Era, è, italiana.
Every step you take Cos'hanno in comune Costanza Miriano e la mamma del laboratorio di pupazzi, che per tutta la mattina si è mangiata le unghie e ha osservato nervosa l'orologio - forse solo perché aveva una torta in forno e temeva di bruciarla? Qual è il punto di contatto tra la donna con la ruga sulla fronte, i capelli schiacciati sotto il chador e l'aria timida - e la donna bionda, trucco e messa in piega impeccabili, sicura di sé, che si fa fotografare trionfante accanto al Papa e altri vip e poi vende 80.000 copie scrivendo «Chissà, magari si apre una stagione di donne sottomesse per scelta, felici, libere di servire non da schiave ma da donne che possono avere tutto, e scelgono la parte migliore»?
I'll be watching you Non raccontiamoci per piacere che burqa e chador sono l'espressione della libera scelta di donne che semplicemente hanno  un’altra concezione del mondo rispetto a quella occidentale. Lo sarà veramente quando vedremo donne musulmane in bikini, leggings o minigonna. Il sottotitolo del libro di Costanza è pratica estrema per donne senza paura. Mi fa (sor)ridere perché nei suoi testi scomoda spesso San Paolo, ma a me, ogni volta che lo incrocio, viene in mente solo Cinquanta sfumature di grigio. Mi secca un po', poi, che Miriano ripeta di far parte «di una schiera di donne risolte e pacificate, che hanno ricevuto in eredità la libertà fin dalla nascita; che non devono rivendicare nulla, che non gridano in piazza, perché questa libertà non è più in pericolo». Allora. Prima di tutto dovrebbe farsi un giro qui nel Bovisashire, dove abito io. Poi, quale libertà esattamente ha condotto la donna italiana con la ruga sulla fronte a indossare il chador? Mi spiace molto che Costanza non mi abbia mai pubblicato, perché in fondo, a ben vedere, la domanda che avrei voluto farle è questa.

Soundtrack: Every breath you take. (C'è chi crede sia un pezzo romantico e vorrebbe usarlo come colonna sonora alle proprie nozze. Attenzione perché invece parla di gelosia, ossessione, controllo. Anche nel refrain «Oh, can't you see - You belong to me» - «Non capisci che mi appartieni?». Quando Sting l'ha scritta stava uscendo da un brutto divorzio, e lui stesso ha raccontato di essersi accorto della sua atmosfera cupa, sinistra e opprimente solo molto tempo dopo. Ciò non mi impedisce di cantarla a squarciagola ogni volta che la sento passare in radio).



mercoledì 14 gennaio 2015

Alzare ogni giorno l'asticella

Quando, in anticipo sul tuo stupore
Ieri sera sono rientrata dal lavoro e mio padre, uomo in genere taciturno ai limiti dell'intollerabile, mi ha accolto dicendomi: «Guarda che le mamme dell'asilo stanno facendo una colletta per comprare dei vestiti a tua figlia. Quelli che indossa sembra li abbia rubati dai cassonetti. Fai qualcosa, ti prego». In effetti guardandola ho notato che la Piccolissima portava una maglietta slabbrata a righe viola, lilla e blu, da cui spuntava un body fantasia (sbiadita) Dumbo nelle tonalità del giallo; sotto, un paio di leggings marroni rimboccati perché troppo lunghi, con due strisce argento e verde, imitazione Adidas, sui fianchi.
Ma mio padre è un ragazzo tranquillo La Piccolissima, con il suo consueto e microscopico garbo, non ha dato segno di avvedersene e mi ha salutato allegra. La cosa buffissima è che tre giorni fa non parlava e non camminava, mentre nelle ultime ore ha cominciato all'improvviso a correre con andatura robotica e a pronunciare a caso vocaboli complessi come «Barbapapà» e un curioso «Cara, cara» che ripete ossessivamente, con la erre francese di suo zio (che poi sarebbe mio fratello). Se accostata alle pance nude del Pupo e della Pupa, s'impegna all'istante nell'esilarante scherzo denominato «ciccio pernacchia» (consiste nello spernacchiare a più non posso il malcapitato, lo conoscerete); in famiglia abbiamo stabilito che questi, per una bimba di 13 mesi, sono segni di intelligenza.
Certo bisogna farne di strada, da una ginnastica d'obbedienza Tornando però all'abbigliamento, ho chiesto a Mike Delfino a cosa stesse pensando quando ha deciso ieri mattina di vestire sua figlia come un incrocio tra Pippi Calzelunghe e Raffaella Carrà. Lui come a volte fanno i maschi ha subito tentato di rovesciare la prospettiva. «Primo: se non mi dici che vestiti metterle io al mattino li pesco a caso dall'armadio e questo è il risultato. Quale madre non si premura di pensare all'abbinamento giusto per i figli?».
Per quanto voi vi crediate assolti Per un attimo ho avuto sensazione che l'abbia vestita male apposta per essere sollevato dall'incarico. Poi ho pensato che Mike Delfino non è capace di siffatti contorti ragionamenti, non sono nel suo stile. Poi però si è divertito a ricordarmi i miei recenti insuccessi, e allora ho cambiato di nuovo idea e ho pensato che forse sì. «Proprio tu», mi ha detto, «tu mi accusi di imprecisione. Tu, che sabato hai perso le chiavi, per tacer del resto».
Siete per sempre coinvolti In effetti sabato mattina ho accompagnato il Pupo in piscina e il cane al parco lì accanto. Al momento di riprendere il Pupo mi sono accorta di aver perso le chiavi dell'auto in circa 40.000 ettari di verde. Problema: dove mettere il cane, a quel punto? Ho chiesto a una ragazza che stava arrivando in quel momento se poteva occuparsene, e gliel'ho lasciato senza fermarmi ad ascoltare le sue deboli proteste. «Il mio numero, se ti serve, è sulla medaglietta», ho urlato correndo verso la piscina. Ci sono arrivata con un infarto in corso, in ritardo, e ho trovato il Pupo in esilio sulla panca dei Bambini Dimenticati.
Su spinosi ricci di castagne Ritirare in ritardo i bambini in piscina è peggio che ritirarli in ritardo a scuola. In piscina i Bambini Dimenticati siedono in un angolo mesti e infreddoliti, avvolti dal loro accappatoietto ormai fradicio, la cuffia umida tra le mani, i piedi nudi, gli occhi gonfi di cloro e di lacrime. Per fortuna il Pupo è un tipo sportivo e quando gli ho spiegato cos'era successo ha accettato di lavarsi e vestirsi in fretta, senza imbastire le consuete scenate durante le quali si rotola sul pavimento degli spogliatoi in mutande e minaccia di non tornare più a casa.
Temprammo cuori e muscoli in battaglia Sei minuti dopo, mentre la sconosciuta custode di Laccio mi sollecitava al telefono («State arrivando? Io dovrei andarmene, il tuo cane è anche simpatico ma ho un impegno») io e il Pupo abbiamo intrapreso una folle corsa verso il parco. Dopo duecento metri, di tutte le direzioni possibili, mio figlio ha puntato diretto verso un cespuglio. A un metro dal cespuglio c'erano le chiavi. Non finivo più di baciarlo. «Grande!» gli urlavo per la felicità. «Ora ti compro quattro cioccolate calde». Abbiamo messo il cane in macchina - finalmente in grado di aprire il bagagliaio - e siamo tornati in piscina, spremendo il distributore automatico di bevande fin quando al Pupo non è venuto il diabete.
Oh ragazza dalle guance d'aurora Più tardi ho comperato una mousse di cipolla dal fruttivendolo-gioielliere del mio quartiere. Ci spendo molti soldi ma frutta e verdura sono buonissime e il proprietario sollecito e pure un po' galante. Col suo sguardo intenso mi ha convinto a spendere tre euro e ottanta per un vasetto di pochi grammi di mousse superlativa, ma appena uscita dal negozio l'ho fatto cadere e si è infranto a terra. Tra l'altro erano cipolle di Tropea e hanno formato una pallotta brunastra e gelatinosa proprio nel mezzo del marciapiede. Hai voglia a raccoglierle.
L'avvenire di un mondo più umano Nel pomeriggio dovevo andare a prendere la Pupa e un suo amico da una gita scout. Pensavo che l'appuntamento fosse in un certo posto - dove si erano trovati quel mattino, per l'esattezza - ma quando sono arrivata era deserto. Allora ho riletto l'email che ci avevano mandato i Vecchi Lupi: «Ci vediamo alle 16.30 ma attenzione, non nel posto X di stamattina, bensì nel posto Y, a 12 comodi chilometri da lì, da percorrere nel traffico cittadino». Per fortuna sono riuscita a parlare al telefono con un altro genitore e ci ha pensato lui, a ritirare tutti i bambini. Sono tornata a casa a mani vuote, Mike Delfino mi ha guardato stupito: «Dove hai messo la Pupa?». «È una storia lunga», gli ho risposto mentre nella mia testa partiva una musica di Morricone e immaginavo di sfidarlo a duello in un film western. A questo punto sarebbe carino se voleste condividere alcuni vostri fallimenti, esilaranti o anche solo deprimenti. In cambio posso offrirvi la medaglietta del cane con il mio numero di telefono, nonché immensa, imperitura gratitudine.

Soundtrack (dò per scontato che possiate accedere a Spotify e cercare lì queste canzoni)
Verranno a chiederti del nostro amore, Nella mia ora di libertà e Le Storie di ieri di Fabrizio De Andrè
Tutto l'album Appunti partigiani dei Modena City Ramblers


lunedì 5 gennaio 2015

La proprietà transitiva dell'intolleranza

Decluttering (o quel che ci serve davvero)
Rientrata dalla maternità ho scoperto che una mia collega non mi parla né mi saluta più. Alla mia richiesta di spiegazioni - prima eravamo in buoni rapporti - mi ha bofonchiato, più o meno: «Be', tu sei amica di X, e io X non la sopporto». Mi ha escluso dalla sua rete di relazioni perché mi accompagno a una persona che non le piace (se ve lo state chiedendo: no, non ha 13 anni).
Somebody that I used to know È una storia che farebbe sorridere se non fosse deprimente. Ho provato oziosamente a calcolare quante energie dedichi la mia collega a ricordarsi di voltare la testa dall'altra parte quando mi incrocia in corridoio; quanta prontezza di riflessi le sia richiesta per tuffarsi di testa in uno dei cubicoli del bagno ogni volta che entro per lavarmi le mani; quanto veloce e attenta debba essere per sgusciare dalla porta dell'area break in gran fretta, in direzione opposta alla mia, se mi vede arrivare per prendere un caffè.
Oggi è un giorno che vale la pena guardarsi alle spalle Ho pensato: chissà che fatica si fa a trascorrere le giornate con la guardia alzata, perennemente gravati dal fardello dell'odio. Cosa te ne fai, a un certo punto, di tutto quel disprezzo in sovrannumero? Quante persone puoi detestare in contemporanea, e quanto a lungo? A me che lotto per andare verso la semplificazione sembra uno sforzo improbo, insensato.
Tutto più chiaro che qui La mattina di otto anni fa in cui presi congedo dalla casa dove vivevo con il padre della Pupa, quando ci separammo, uscii in dieci minuti buttando in borsa due paia di jeans, cinque magliette, quattro maglioni. Trascorsi l'intero inverno vestita con quelle cose, senza avvertire la mancanza di altro. Da allora vivo con poco, sapendo che quel poco è già tanto.
Quel che si dice badare all'essenziale
Everything means nothing to me Attività tipica di fine e inizio anno: compilare elenchi di buoni propositi. Io stessa ne ho stilati parecchi. E voi, lo fate? Che cosa sognate per l'anno appena iniziato? Tra le voci ricorrenti nelle liste dei miei amici vedo spesso, in pole position, «liberarmi di quel che non mi occorre». Molte mie amiche femmine si disperano per la quantità eccessiva di vestiti. «Ho armadi pieni di cose che non metto da una vita». Io mi dispero all'opposto: se non faccio la lavatrice non so cosa indossare. Rispetto all'inverno di otto anni fa ho raddoppiato il numero di pantaloni (ora ne ho quattro), di magliette (dieci), maglioni (otto). Da due anni non compro scarpe nuove, ho una sola giacca invernale. Il colore nero in molti casi aiuta e risolve. A fare le valigie, quando c'è da partire, sono velocissima.
Easy way out Ai miei figli arriva tanto di tutto. I vestiti li ereditano da vari benefattori, così pure i giocattoli. Sono comunque troppi e molto spesso li regaliamo. «Mi ricordavo che avessimo un puzzle» mi dice la Pupa. «L'ho portato alla casa di accoglienza per i bambini siriani». «Capito», commenta lei, e riprende a piegare origami. Il Pupo quest'anno ha scritto la sua prima lettera a Babbo Natale in autonomia. Mi fa piacere che a sei anni abbia chiare alcune priorità. Se lei mi parlasse, vorrei suggerire alla mia collega di prendere esempio; di rimettere in ordine le sue. Sarebbe bello che anziché detestarmi potesse incontrare una renna, almeno una, anche lei.

Ps: buon anno.

Soundtrack: C'è tutto quest'album bellissimo e poi pure questo

lunedì 22 dicembre 2014

Fallimenti prenatalizi

We were born sick Nei giorni già densi che precedono le festività il precario menage maraonide è funestato da continue ricadute della Piccolissima, la quale nel mese di dicembre ha frequentato il nido per un totale di sei giorni, uno in più di quel che ci permetterebbe di usufruire della quota scontata del 50% causa malattia. La graziosa cialtrona passa dunque con disinvoltura da un malanno all'altro. «Possiamo a questo punto ragionevolmente sostenere che mia figlia è cagionevole, doc?» ho chiesto stamani alle 8.07 al pediatra. «In effetti», mi ha risposto lui con voce cavernosa (come ho già scritto, nutro il forte sospetto che risponda dal cesso alle chiamate dei genitori preoccupati).
Every sunday's getting more bleak Nell'inverno del nostro malcontento la Piccolissima si è svegliata ieri mattina con la febbre a 39 e un muco appiccicoso che le aveva - scusate il dettaglio - cancellato i lineamenti del volto. Da mesi in famiglia noi adulti si esce solo alternati, dovendo uno dei due restare a casa a badare alla figliola colante. I ratti maggiori non se ne curano ma continuano imperterriti nelle loro attività di disturbo della quiete.
I'll tell you my sins Incapaci di comprendere con esattezza di quali peccati siamo chiamati a rispondere, teniamo botta come possiamo. Gli incastri vita-lavoro si fanno via via più complessi. Io perdo progressivamente il senno anche grazie alle chat di mamme su Whatsapp, donde provengono notizie contrastanti sulle feste scolastiche e i compiti da eseguire. Nel casino ho ciccato l'orario della festa del Pupo: per la prima volta nella nostra carriera da genitori io e Mike Delfino siamo arrivati in ritardo alla recita natalizia.
Only then I am human Quindici minuti ci sono stati fatali. Siamo arrivati ultimi, quando i bambini di tutte le prime erano già sciamati dalla palestra in cui avevano intrecciato canti melodiosi fino in classe, dove avevano cominciato ad azzannare fette di pandoro e addobbi. «Mamma», la frase che non avrei mai voluto sentire, «Non siete venuti alla recita», mi ha detto il mio cucciolo-miele vestito da angioletto. Quaranta paia di occhi si sono posati su di noi.
And she's buying a stairway to Heaven Per consolarmi la rappresentante di classe mi ha intasato lo smartphone di improbabili video in cui il Pupo è un puntino sfuocato. «Tuo figlio se lo ricorderà per tutta la vita», mi ha detto un'altra mamma. Il giorno dopo mi ha chiamato un'amica, infuriata con l'ex marito. «Paola, so che non ci crederai. Quel colpevole idiota mi ha fatto tardare alla festa di Natale della scuola. Mi ha detto un'ora per l'altra, sono arrivata ed era già tutto finito. Una cosa, ti giuro, da vigliacchi. La bambina stava malissimo. Non mi sono mai sentita così miserabile». «Neanch'io», le ho risposto, e non sapevo cos'altro aggiungere.
Gonna put my pink dress on Nei momenti di difficoltà il maraonide si distingue per la sua capacità di reagire. Anche se questa volta persino mia madre, in genere indulgente e comprensiva, mi ha blandamente insultato per la mia inettitudine, mi sono sforzata di fingere che nulla fosse successo e il giorno dopo mi sono presentata alla recita della Pupa con inutile anticipo e un velo di rossetto sulle labbra. Per risarcimento ho fatto prelevare il Pupo dalla sua classe e ci ho portato pure lui. «Facciamo che vale come fosse la mia?» mi ha chiesto. «Paola, grazie al cielo oggi ce l'hai fatta», mi ha salutato la maestra di matematica. «Abbiamo saputo che ieri hai sbagliato orario». Quel che si dice una fama meritata.
One day baby we'll be old Ora ditemi per piacere che almeno una volta è successo anche a voi. Se non questo, almeno qualcosa di simile. Svelatemi qualcosa che io possa un giorno raccontare ai miei figli per riderne con loro.
And think of all the stories we could have told Sono tuttavia fortunata perché laddove un altro uomo mi avrebbe crocifisso, Mike Delfino ha incassato signorilmente e mi ha detestato in silenzio per un paio di minuti al massimo. I ratti maggiori hanno altrettanto fortunatamente ereditato il mio senso dell'umorismo: sono bambini spiritosi, abituati a drammatizzare solo eventi vacui e inessenziali. Non posso proprio lamentarmi di loro, se non per un dettaglio che ho inquadrato solo di recente: da una certa ora in poi, si deteriorano. Diciamo che dalle 19 perdono tono, vanno fuori controllo. Diventano insopportabili mucillagini, si fanno miagolanti e meosi (questo è un aggettivo che abbiamo inventato in famiglia, penso renda l'idea). Mentre scrivo questo post, al piano di sopra dorme il sonno dei giusti il Pelloni, primogenito della mia carissima Pellona, un santo di sei anni e mezzo insospettabilmente diventato amico del Pupo. Stasera io e Mike Delfino li guardavamo giocare e mentre lui infilava una serie di «Sì, certo», «Grazie mille», «Volentieri», «D'accordo», abbiamo pensato di aver sbagliato qualcosa nell'educare i nostri figli. Il punto è che non abbiamo mica capito cosa.


Soundtrack: Take me to church
Stairway to heaven
4th and vine
One day/Reckoning song